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Empatia e Teoria della Mente: un unico meccanismo cognitivo

aa.vv. 2015 Riv. di Fil. e Psic.

IN L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELLA MENTE Grazia Attili descrive il concetto di Teoria della Mente (dall’inglese Theory of Mind, ToM), individuandone le funzioni biologiche, la filogenesi, e ponendo in evidenza come lo stile relazionale cui un soggetto è esposto influenzi lo sviluppo della capacità di comprendere gli stati mentali altrui. Infine, l’Autrice conclude adducendo delle argomen-tazioni riguardo la possibilità che non solo gli esseri umani abbiano sviluppato una ToM, ma che ne siano provviste anche altre specie animali. Il merito del testo è quello di considerare la ToM non in termini meramente cognitivi, ma spostandone il centro sull’aspetto interattivo. È tuttavia lecito continuare a chiamare ToM la capacità di cui parla l’Autrice? Oppure, dato che la definizione originaria della ToM è di carattere cognitivo, la capacità descritta dall’Autrice dovrebbe essere denominata e definita diversamente? Quando si parla di Teoria della Mente si indica la capacità di rappresentarsi i propri e gli altrui stati mentali, in termini di pensieri e credenze, ma anche di desideri, richieste e sentimenti con lo scopo di poter prevedere e spiegare il comportamento. Sin dalle sue prime caratterizzazioni, la ToM è definita in termini squisitamente cognitivi. Gli stessi Premack e Woodruff nel pionieristico studio del 1978 teorizzarono la presenza di un modulo cognitivo specializzato nella rappresentazione degli stati mentali. In effetti, a oggi l’ipotesi maggiormente accredita è che si tratti di una capacità cognitiva innata dell’essere umano, il cui processo di sviluppo potrebbe essere influenzato dal contesto culturale in cui l’individuo è inserito ed essere indipendente dal livello intellettivo. Da un punto di vista evoluzionistico, è stato ipotizzato che una Teoria della Mente di sé e degli altri sia emersa nel corso dell’evoluzione come una risposta adattiva ad un ambiente sociale diventato più complesso. Proprio per questo, gli individui con maggiori capacità nella lettura degli stati mentali altrui, sarebbero maggiormente dotati nelle relazioni sociali, e questo li porterebbe ad un maggiore successo riproduttivo. La Teoria della Mente possiede quindi delle funzioni individuabili in due macro categorie, la funzione sociale e quella adattiva. La prima è riferita al fatto che la mentalizzazione aiuta a comprendere i comportamenti altrui dando un senso alle azioni osservate anche senza una spiegazione specifica da parte dell’agente. Oltre a ciò, possiamo individuare anche degli altri obiettivi più specificamente di tipo sociale come il poter essere un partner comunicativo competente e comprendere i segnali che attestano, nel ricevente, l’ambiguità o la chiarezza del proprio messaggio, così da poterlo modificare. Per quanto riguarda le funzioni adattive, c’è da notare come riuscire ad attribuire significato alle altrui azioni possa permettere di prevedere un determinato comportamento, ma anche e soprattutto, permette di attuare delle riflessioni circa i propri stati mentali e di raggiungere nuove consapevolezze. L’Autrice presenta interessanti evidenze che permettono di individuare le funzioni biologiche e la filogenesi della ToM. Inoltre, l’articolo riporta una serie di studi, dai quali emerge come lo stile relazionale a cui un soggetto è esposto (per esempio lo stile relazionale della madre), influenzi lo sviluppo della capacità di comprendere gli stati mentali altrui. Questa considerazione sposta la definizione da un piano puramente cognitivo a un piano di matrice più interattiva e relazionale. In questo senso la ToM non è più intesa tanto come il prodotto del meccanismo cognitivo ipotizzato da Premack e Woodruff, ossia alla stregua della capacità di alto livello di elaborare una teoria vera e propria circa la mente altrui, ma assume le sembianze di una capacità più di base, di carattere non propo-sizionale che consiste nel riuscire a “immaginare” i propri e gli altrui stati mentali. In altri termini si passa da una abilità teorica a una empatica. Questo cambio di prospettiva permette, fra l’altro, anche di fornire più agevolmente una spiegazione di quelli che possono essere i meccanismi fisiologici alla base della capacità di rappresentare i propri e altrui stati menta-li. Infatti, mentre la concezione originaria della ToM come una struttura cognitiva mo-dulare non ha trovato alcun supporto nei risultati sperimentali (a più di tre decadi dallo studio di Premack e Woodruff non si è ancora rintracciata nessuna struttura cerebrale che assolva le funzioni del modulo cognitivo ToM), numerosi studi suggeriscono l’esistenza di un sistema fisiologico in grado di spiegare in termini meccanicistici la capacità di comprendere gli stati mentali altrui. Anche in termini evoluzionistici, appare poco parsimonioso ipotizzare la presenza di uno specifico sistema modulare evolutosi per la comprensione degli stati mentali altrui. In effetti, pare più plausibile ipotizzare che dei sistemi già presenti a livello cerebrale siano stati riadattati per svolgere anche l’attività di comprensione degli stati mentali altrui. Un possibile candidato a divenire nel tempo parte della capacità di comprensione delle intenzioni degli altri è un sistema in grado di capire le azioni che gli altri stanno compiendo e, quindi, di prevedere ciò che faranno o potrebbero fare nei momenti successivi.Tale sistema potrebbe essere rappresentato dal sistema dei neuroni specchio descritto da Rizzolati e colleghi dall’inizio degli anni ’90. Secondo gli studi di Rizzolati e colleghi la com-prensione delle intenzioni e delle azioni altrui sarebbe mediata da una tipologia di neuroni piuttosto che da una modulo cognitivo specializzato.

Questa ipotesi sostiene che i neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un’azione, sia se la stessa azione è osservata mentre viene compiuta da altri (in particolare da conspecifici). Originariamente scoperti in un settore della corteccia motoria della scimmia (area F5), studi successivi hanno indicato la presenza di un sistema a specchio anche nell’uomo, nella porzione rostrale anteriore del lobo parietale inferiore, nel settore inferiore del giro precentrale, nel settore posteriore del giro frontale inferiore e nella corteccia motoria e premotoria. A partire dalle ricerche di Rizzolati e colleghi si è sviluppato un importante filone di ricerca intorno a questi temi.A oggi questa ipotesi è ritenuta la più verosimile poiché si basa su un meccanismo neurale relativamente semplice che permetterebbe di comprendere le intenzioni che sottendono le azioni altrui in maniera spontanea, automatica e irriflessa. Inoltre offre una spiegazione di come l’abilità di imitare le azioni degli altri possa essere evoluta nella capacità di simulare gli stati mentali altrui. Purtroppo l’esistenza di un sistema a specchio nell’uomo non è stata ancora univocamente confermata e anzi alcuni studi la mettono radicalmente in discussione. Ulteriori studi sono dunque necessari per sfatare ogni dubbio e approfondire il modo di funzionamento di tale sistema. Nel frattempo, è possibile tuttavia avanzare delle considerazioni generali sulla Teoria della Mente e sul suo possibile modo di funzionamento che ne mettono in discussione la definizione classica. La capacità di rappresentarsi i propri e gli altrui stati mentali che l’autrice denomina, secondo la dicitura cognitiva classica, Teoria della Mente, ma che secondo alcuni autori si basa su un meccanismo empatico, è un principio base della cooperazione e della vita nei gruppi sociali. Questa sua centralità rispetto alla vita umana rende tanto più importante approfondirne il funzionamento, anche e soprattutto attraverso la comprensione delle basi fisiologiche sottostanti. Da questo punto di vista, la Teoria della Mente può essere intesa alla stregua di un processo che fa parte di un sistema più vasto (che potrebbe essere definito “ecologico” secondo la teoria bioecologica di Bronfenbrenner). In questa ottica, il processo che va sotto il nome di Teoria della Mente è composto da un piano fisiologico che interagisce con i molteplici livelli dell’ambiente esterno, altresì defi-nito ecosistema (dal microsistema, cioè il livello di interazione sociale diadica, al macro-sistema, cioè l’insieme delle categorie sociali complesse quali per esempio le istituzioni, i valori sociali e culturali, la sua cultura e all’interazione del soggetto con questi).

Approfondire le nostre conoscenze circa le strutture fisiologiche alla base delle nostre capacità di rappresentare gli stati mentali altrui e le interazioni fra i vari livelli dell’ecosistema permetterebbe di gettare luce sia sull’ontogenesi sia sulla filogenesi di tale capacità creando modelli esplicativi che tengano conto di come questa si interfacci con la cultura e l’ambiente circostanti all’individuo, e di come il risultato di questa interazione vada a influenzare le dinamiche tra differenti gruppi sociali.In generale, considerazioni quali quelle proposte sia in questo commento, sia nel testo cui si rivolge,insinuano il dubbio che non sia più opportuno descrivere la capacità di rappresentarsi i propri e gli altrui stati men-tali come Teoria della Mente, ma che questa sia meglio definibile come capacità empatica. Tuttavia, trovare una denominazione ade-guata è soltanto laprima fase di un percorso di ricerca che deve prevedere un’analisi su più livelli che ci permetta dicomprendere come tale capacitàsia utilizzata nella vita quotidiana e come si sia evoluta.

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