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Psicofarmaci e Covid

IEuD: aumenta l’abuso e la dipendenza da psicofarmaci a causa di Covid-19

Secondo l’Istituto europeo per il trattamento delle dipendenze, (IEuD) l’emergenza Covid-19 ha portato a un incremento dei consumi delle benzodiazepine con tassi di crescita di oltre il 4% registrati nei primi sei mesi del 2020

di Redazione Aboutpharma Online15 Settembre 2020

psicofarmaci covid-19

Nei mesi di emergenza Covid-19 i consumi di psicofarmaci sono cresciuti e in particolare le benzodiazepine hanno subito un’accelerazione con tassi di crescita di oltre il 4% nei primi sei mesi del 2020. Lo riporta l’Istituto europeo per il trattamento delle dipendenze (IEuD), sottolineando come questo incremento si sia verificato nonostante i timori del contagio abbiano drasticamente limitato la frequentazione degli studi medici ed ancor più delle strutture ospedaliere. Secondo una ricerca condotta da Medipragma infatti, se a febbraio 2020 il medico di medicina generale visitava in media 21 pazienti al giorno, nei mesi successivi (aprile/maggio) la media giornaliera è scesa a soli 7 pazienti.

L’effetto lockdown

“Il lockdown ha portato a un aumento dell’abuso di droghe” si legge in una nota dell’IEuD. “Le limitazioni ai movimenti e agli scambi sociali hanno infatti favorito la ricerca degli effetti gratificanti delle sostanze d’abuso. Addirittura, i consumatori di droghe sono aumentati e sono aumentate le sostanze disponibili e quelle sperimentate. Le tendenze rilevate sull’abuso di psicofarmaci, inoltre, lasciano supporre che anche in questo caso vi sia stato un aumento dell’abuso di tranquillanti”.

L’uso dei psicofarmaci come sollievo da Covid-19

Le benzodiazepine agiscono su uno stato d’animo molto diffuso e connaturato alla vita di chiunque: l’ansia, la paura, l’insicurezza, che portano insonnia, agitazione, blocco del pensiero e dell’azione, pensieri prevalenti di natura sgradevole. Frequenti sono poi le sensazioni associate, come senso di stanchezza, mancanza di lucidità, irritazione, calo della performance. L’emergenza scaturita in seguito alla pandemia di Covid-19 ha esasperato questi elementi, portando in primo piano paure, sfiducia, preoccupazioni, rabbia, frustrazione e tristezza. Accompagnate dalla sensazione di essere immersi in un sistema non in grado di gestire la situazione, di rassicurare adeguatamente sui pericoli e di proteggere a sufficienza dai danni.

Questo scenario ha creato le condizioni di base per lo sviluppo dei sintomi e dei disturbi che portano alla richiesta di sollievo attraverso l’uso di psicofarmaci. Non solo è presente il rischio di abuso e di dipendenza, ma soprattutto si consolida l’automatismo per cui si pensa che per ogni problema ci debba essere una soluzione tecnica, quale è un farmaco. Questo meccanismo è il cuore della dipendenza: invece di cercare sollievo nelle relazioni umane, lo si cerca in qualcosa di concreto che sommerge il malessere e che si pensa di poter controllare da soli. L’isolamento e il distanziamento sociale cui siamo stati costretti durante il lockdown ha senz’altro favorito questa mentalità, facilitando il radicamento di un modo di pensare che amplifica il rischio di dipendenza.

Chi sono i consumatori

Le persone inattive e i disoccupati tra i 35 e i 64 anni sono maggiormente soggetti ad ansia e depressione cronica (11%) rispetto agli occupati (3,5%) seppure i dati disponibili rilevino l’abuso grave di psicofarmaci (cioè oltre 5 volte la dose terapeutica) particolarmente frequente fra i professionisti ed i manager di alto livello. L’uso di benzodiazepine aumenta poi di pari passo con l’età fino ad arrivare, nelle case di riposo, al 54% degli anziani ricoverati. Anche le persone con problemi di droghe (eroina, cocaina, alcol) hanno la tendenza ad abusare di benzodiazepine sia per attenuare eventuali crisi di astinenza, sia per potenziare gli effetti delle droghe, sia per recuperare alcune funzioni fisiologiche come il sonno, sia per ridurre le sensazioni sgradevoli delle droghe, come l’irritabilità e la rabbia da cocaina.

Benzodiazepine tra i farmaci più venduti

Tradizionalmente l’Italia non è tra i Paesi Europei dove il consumo di psicofarmaci è più elevato, anzi si colloca al di sotto della media dei Paesi Ocse, pur avendo registrato – nel caso degli antidepressivi – un raddoppio tra il 2000 e il 2015.  Secondo le stime dell’OSMed (Osservatorio Medico) nel 2019 il consumo di benzodiazepine a effetto ansiolitico è cresciuto del 2,5% e per quelle a effetto ipnotico la crescita è stata del 7%. Insieme rappresentano oltre il 90% del consumo della categoria e si collocano al primo e al quinto posto in termini di spesa tra i medicinali di fascia C ovvero a totale carico del paziente con una spesa di oltre 350 milioni all’anno. Ogni giorno vengono consumate 50 dosi di benzodiazepine per 1.000 abitanti; poco meno le dosi di antidepressivi: 40 al giorno per 1.000 abitanti.

Un problema globale

L’abuso di benzodiazepine non è però un problema solo italiano. Il World drug report della Unodc, (il report sulla droga a cura delle Nazioni Unite) 2018 e 2019, lo considera una delle minacce emergenti di salute pubblica, inserendo le benzodiazepine tra le prime tre sostanze di abuso comunemente usate in 40 Paesi.

Psicofarmaci “da consiglio”

“Le benzodiazepine non comportano rischi di mortalità anche in caso di sovradosaggio se assunte da sole” comenta dice Emanuele Bignamini, membro del Comitato Scientifico di IEuD. “Per cui sono maneggiate con disinvoltura ed è possibile ottenerle abbastanza facilmente anche al di fuori delle modalità previste dalla Legge. Sono i farmaci per cui il ‘consiglio del vicino di casa’ costituisce una modalità d’accesso frequente che salta la valutazione medica. Nonostante l’apparente innocuità e la disinvoltura con cui sono maneggiate, sono spesso associate alle morti per overdose da più sostanze, spesso combinate con analgesici, oppioidi e alcol”.

La larga diffusione e la capacità delle benzodiazepine di dare sollievo immediatamente e senza particolare tossicità induce i medici a prescriverle con larghezza e i pazienti ad assumerle volentieri. L’uso prolungato però genera un fenomeno di “tolleranza” verso il farmaco per cui il disturbo originario, come l’ansia o l’insonnia, ricompare facilmente. Dall’uso terapeutico si può quindi passare ad un abuso in cui il paziente si “autocura” con dosi eccessive e inadeguate e con assunzioni improprie, alla ricerca del benefico effetto iniziale. La dipendenza che si struttura a seguito dell’abuso è molto difficile da superare, tanto che alcuni studi danno come percentuale di successo il 13% a tre anni e richiede un supporto specialistico qualificato.

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