
Il nematodo — un vermetto, un niente — scappa!
Non pensa, non ragiona, non sente….. Ma scappa!
Di fronte a un pericolo percepito, attiva dopamina, noradrenalina, adrenalina. Fugge.
Il suo sistema nervoso, semplice fino al ridicolo, mette in moto la stessa catena neurochimica che si attiva nell’uomo. Reagisce, si allerta, blocca il superfluo, mobilita risorse. Poi, quando la minaccia sparisce, rilascia oppioidi. Si calma. Si resetta. Fa come me.
Un verme. Senza pensiero, senza coscienza, senza anima.
Eppure fa esattamente quello che facciamo noi.
Stessi neurotrasmettitori, stessa logica. Il panico è una coreografia chimica. Il sollievo, una ricompensa automatica.
Allora vien da chiedersi: dov’è finita quella scintilla divina? Dov’è quella presunta unicità dell’essere umano, che da secoli ci raccontiamo con così tanta convinzione da crederci? Bias in agguatato??
Il cervello non è un tempio. È un meccanismo da guerra.
Quando percepisce una minaccia, sospende tutto ciò che non serve a combattere: sonno, sesso, digestione, crescita, riparazione. Come uno Stato sotto attacco taglia la scuola, la sanità, i servizi civili per finanziare l’esercito.
Poi, quando l’allarme rientra, riattiva la macchina della pace: rilascia oppioidi endogeni, spegne l’adrenalina, rimette in funzione i processi interrotti. Una manovra economica biochimica. Ecco cos’è l’emozione. Non mistero, non profondità, non spiritualità. Procedura.
Ogni emozione — gioia, rabbia, amore, vergogna, compassione, invidia — è una procedura, una sequenza fisiologica automatica, attivata da un certo tipo di input (interno o esterno) e diretta a generare una risposta funzionale alla sopravvivenza, alla coesione sociale, o alla gestione delle risorse cognitive.
Non c’è mistero. C’è meccanica adattativa.
Cambia il lessico, cambiano le sfumature culturali, ma la struttura resta: uno stimolo → una valutazione → una risposta multimodale (corporea, cognitiva, comportamentale). Sempre. Ovunque. In chiunque.
Ora: se questo è il funzionamento dell’uomo e del nematodo — una macchina che alterna allerta e recupero, basata su segnali chimici — allora perché, esattamente, non dovrebbe essere replicabile?
Cosa ci sarebbe, di così inarrivabile, da impedirne la simulazione?
Il circuito è chiaro. Gli input sono noti. Le sostanze sono definibili. E il comportamento è prevedibile. Non c’è nulla di mistico. Solo una raffinata ingegneria della sopravvivenza.
Chi oggi afferma, con aria da profeta, che “l’AI non potrà mai provare emozioni vere”, in realtà difende una religione? Quella della superiorità umana? Una liturgia che va avanti da millenni, e che si regge su un solo dogma: che l’uomo non sia solo complesso, ma inimitabile.
È una favola. Forse la più grande che ci siamo raccontati.
La verità, secondo me, è più fredda, più scomoda, ma anche più interessante:
siamo complessi, molto complessi . Non unici.
Siamo il prodotto di una lunga, disordinata evoluzione chimica.
L’emozione non è spirito, è “algoritmo”. Non è anima, è effetto collaterale della sopravvivenza.
E se un verme può farlo, una macchina potrà farlo meglio.
Il problema non è se lo farà. Il problema è quando.
E quanto sarà più efficiente, più lucida, più veloce?
Forse anche più felice? Mah!