by R.B.
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La mente di chi soffre di una fobia è una macchina narrativa perfettamente oliata, un ingranaggio che trasforma la paura in un copione rigido, ripetitivo e totalizzante. È come se il cervello proiettasse in loop lo stesso film dell’orrore, senza possibilità di cambiare finale. Non importa se il pericolo sia reale o meno, perché la percezione soggettiva lo rende assolutamente certo, imminente e catastrofico. E questa certezza è ciò che alimenta la paura, la radica nella mente e la trasforma in una prigione.
Tutto parte da un assunto di base, una sorta di dogma interiore: se succede, sarà terribile. Non c’è spazio per il dubbio, per le sfumature, per il pensiero critico. Il soggetto fobico non pensa che potrebbe essere difficile, fastidioso o impegnativo affrontare ciò che teme. No, per lui la minaccia è assoluta e insormontabile. Se ha paura di volare, è sicuro che l’aereo cadrà. Se teme gli spazi chiusi, è convinto che resterà intrappolato senza via d’uscita. Se soffre di fobia sociale, è certo che ogni sguardo sarà giudicante, ogni parola fuori posto un’umiliazione pubblica. E più questa narrativa si ripete, più diventa la sua unica realtà.
Non è solo una questione di paura. È una forma di rigidità cognitiva che elimina ogni alternativa possibile. Non c’è spazio per il forse andrà diversamente, per il potrei provare a gestirlo, per il magari non è così terribile come penso. Il cervello blinda la paura in un’unica possibilità: non posso farcela. Ed è proprio questa convinzione che impedisce alla persona di uscire dal labirinto della fobia. Se credi che non ci sia via d’uscita, non cerchi nemmeno una porta aperta. Rimani fermo, bloccato nella tua ansia, alimentandola con ogni evitamento.
Evitare diventa la regola. E ogni evitamento è una conferma della paura. Il soggetto fobico costruisce la propria narrativa su esperienze passate che, nella sua mente, diventano prove schiaccianti e irrefutabili. Una volta ha avuto un attacco di panico in un centro commerciale? Bene, da quel momento in poi, tutti i centri commerciali saranno il nemico. Una volta è stato preso in giro dopo aver balbettato davanti a un pubblico? Da quel momento, ogni situazione simile sarà vissuta come una condanna certa al fallimento. Non importa quante volte le cose siano andate diversamente, perché la mente seleziona solo ciò che rafforza la paura, come se fosse l’unica verità.
E poi c’è quella sensazione opprimente di essere sempre sotto i riflettori. Chi soffre di fobia sociale, ad esempio, vive con l’idea che ogni suo gesto venga scrutinato, che ogni parola detta in pubblico sia passata al microscopio dal giudizio altrui. È un senso di auto-consapevolezza paralizzante, un’ossessione per il controllo che trasforma anche la più banale interazione sociale in un campo minato.
Il peggio, però, è quando la paura smette di essere solo un problema e diventa un’identità. Il soggetto non dice più: ho paura di volare. Dice: sono una persona che non può volare. La fobia smette di essere una reazione e diventa un marchio, un tratto indelebile della personalità. È una gabbia costruita su una narrazione che ripete sempre la stessa storia: questa paura è parte di me, non potrò mai cambiarla.
Ma è davvero così? O questa è solo una storia che la mente racconta a sé stessa?
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Come si Smonta questa Narrazione Fobica?
Il lavoro terapeutico, in particolare la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), mira a de-strutturare queste credenze errate e sostituirle con pensieri più funzionali. Alcune strategie chiave sono: Ristrutturazione cognitiva: mettere in discussione le convinzioni disfunzionali e creare interpretazioni più realistiche.
Esposizione graduale: affrontare la paura in modo progressivo per rieducare il cervello alla gestione dell’ansia.
Mindfulness e accettazione: ridurre la lotta interna contro la paura e accettarla come esperienza momentanea, non identitaria.
Smontare una fobia significa ribaltare la narrativa interna che la sostiene. È una battaglia contro la propria mente, una rivoluzione cognitiva che richiede coraggio, ma che porta alla libertà.