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L’acustica delle scelte. Quel rumore che ci impedisce di prendere le giuste decisioni

Tutte le valutazioni, anche quelle eseguite da esperti, sono segnate da bias e cioè da “errori medi”. Ma c’è anche un margine di errore casuale, che varia a seconda delle circostanze e che è quindi ancora più difficile da individuare. Olivier Sibony, coautore insieme al Premio Nobel Daniel Kahneman e a Cass R. Sunstein di uno libro che analizza il problema, ci spiega come si può intervenire per ridurre le possibilità di sbagliare

L’esperienza insegna che ci sono decine di ambiti nelle nostre vite in cui le decisioni dovrebbero essere dettate da criteri oggettivi, ma alla fine la realtà risulta spesso essere diversa dalla teoria e si innescano variabili dispersive nei giudizi che incontriamo sulle cose.

Lo vediamo in tutti gli ambiti, giorno dopo giorno. E nella nostra contemporaneità è sempre più lampante. Tutto viene messo in discussione. Si dubita di tutti. Non ci si fida più nemmeno degli esperti. La colpa è del rumore. Lo spiega dettagliatamente un libro appena uscito per Utet: Rumore. Un difetto del ragionamento umano, firmato da Daniel Kahneman, Nobel per l’economia e già celebre per Pensieri lenti, pensieri veloci, oltre che per il suo interesse e i suoi studi sul bias cognitivo e per aver analizzato in lungo e in largo, insieme a Olivier Sibony e Cass R. Sunstein, proprio questo difetto del funzionamento mentale, dalla sanità pubblica alle aule di giustizia, fino ai colloqui di lavoro, cercando di capire come mai nei sistemi complessi i processi decisionali sfuggano spesso ai principi della logica.

Ne abbiamo parlato con il coautore del testo Olivier Sibony, docente all’École des hautes études commerciales de Paris e Associate Fellow alla Said Business School di Oxford, nonché esperto del pensiero strategico e della progettazione di processi decisionali.

Quando parlate di rumore, cosa intendete?
Il rumore è una forma di errore. Il pregiudizio ne è un’altra. Ed entrambi contano. La differenza è meglio illustrata da un esempio di misurazione. Supponiamo che la tua bilancia pesapersone, in media, aggiunga 0,5 kg al tuo peso. Questo è un errore direzionale, cioè un bias. Supponiamo ora di salire sulla bilancia tre volte in rapida successione e ottenere tre letture leggermente diverse. Questo è un diverso tipo di errore: la bilancia non è solo sbagliata di 0,5 kg in media, è anche sbagliata su ogni lettura di una quantità casuale. Questo è rumore. L’errore nei giudizi professionali funziona proprio come in questo esempio di misurazione. Il bias è un errore direzionale prevedibile. Il bias è l’errore medio: quando c’è bias, tutti tendiamo a fare gli stessi errori. Ma c’è anche variabilità nei giudizi che dovrebbero essere identici. Quella variabilità è rumore. Se vogliamo prendere decisioni migliori, dobbiamo combattere sia i pregiudizi sia il rumore.

A partire da questo presupposto, quali sono i principali effetti del rumore su temi come giustizia, finanza, medicina, lavoro?
Innanzitutto, il rumore è una fonte di errore. Se due medici vedono lo stesso paziente e danno due diagnosi diverse, almeno una delle due è sbagliata. Anche se non c’è alcun pregiudizio, cioè nessun errore condiviso, questo è un problema: non vuoi solo un medico che diagnostichi il giusto numero di pazienti, vuoi un medico che diagnostichi correttamente i pazienti! Non basta essere “mediamente corretti”. Nei giudizi che non prevedono un’unica risposta migliore, è meno ovvio capire perché il rumore sia un problema, ma lo è anche in quel caso. Prendiamo la giustizia, per esempio. Non c’è modo di sapere che la condanna “giusta” per un dato criminale sia esattamente tre anni o tre anni e mezzo di carcere. Ma se un giudice dice un anno e un altro dice sei, sappiamo di avere un problema, perché nessuno vuole che il sistema giudiziario sia una lotteria. Quindi il rumore è fonte di ingiustizia.

In questo momento, per esempio, c’è molto rumore su due temi: lavoro e vaccini.
Prendi i vaccini: tutti i Paesi hanno gli stessi dati e presumibilmente hanno gli stessi obiettivi. Tuttavia, si prendono decisioni molto diverse su quali vaccini usare, per quali popolazioni e via dicendo. Tutti sarebbero d’accordo sul fatto che esiste una risposta “migliore”, ma ognuno direbbe che è la propria, non quella degli altri. Questo è un tipico esempio di rumore.

Il flusso costante di opinioni sui social esaspera tutto questo?
Se siamo costantemente esposti a informazioni diverse, questo non può che esacerbare le differenze tra i nostri giudizi. Quindi è probabile che vedremo davvero più rumore. Detto questo, possiamo anche pensare ai social media come un modo per confrontare le opinioni, e questa è una forza positiva. Quindi dipende da come vengono utilizzati.

Dal libro emerge che il rumore non è solo un ostacolo all’indagine scientifica, ma ha anche effetti sul mondo reale.
Ogni volta che ci affidiamo al giudizio di una persona in un momento particolare, c’è rumore. Prendiamo ad esempio gli esaminatori di impronte digitali, che devono decidere se un’impronta digitale su una scena del crimine corrisponde all’impronta di un sospetto. La maggior parte delle persone presume che questo sia un dato di fatto e che le persone competenti non possano essere in disaccordo. Tuttavia, quando mostri le stesse impronte a diversi esaminatori, a volte arrivano a conclusioni diverse. Anche quando mostri le stesse impronte agli stessi esaminatori in un momento diverso (senza dire loro che le hanno già viste), a volte danno una risposta diversa. Può essere letteralmente una questione di vita o di morte. Sebbene le conseguenze non siano sempre così grandi, in qualsiasi giudizio umano, c’è quasi sempre più rumore di quanto pensiamo.

La riduzione del rumore in un sistema può aiutare a ridurre l’errore? Proprio come fa la riduzione del bias?
Questa è una delle cose più controintuitive sul rumore. Se misuri correttamente l’errore (il termine tecnico è errore quadratico medio), il rumore e il bias giocano esattamente la stessa parte nell’errore. Ciò significa che la riduzione del rumore ha lo stesso effetto della riduzione del bias. Ci concentriamo tutti sul bias, perché è visibile: l’errore medio è spesso molto visibile. Ma ridurre il rumore è altrettanto importante.

Un’organizzazione che volesse affrontare il rumore, da dove potrebbe iniziare?
Il primo passo è un audit acustico, un esperimento in cui lo stesso problema o problemi vengono sottoposti a un numero di persone diverse. Si può quindi misurare quanto variano le risposte. Ad esempio, una società di investimento ha eseguito un audit acustico dopo aver parlato con noi: ha fornito a tutti i suoi professionisti degli investimenti gli stessi dati su un ipotetico titolo e ha chiesto loro quanto pensavano che valesse il titolo. La differenza media tra due professionisti è stata del 44 per cento. Dato che sono tutte persone che prendono decisioni per conto dell’impresa, e dato che sceglierne uno anziché un altro per studiare un determinato titolo è solo una questione di chi è disponibile, questo porta a una conclusione scomoda: le decisioni dell’impresa dipendono in gran parte dal caso.

Ci sono idee sbagliate o miti da sfatare sul rumore?
Un malinteso frequente è che il rumore non abbia importanza, perché gli errori “in media” si annullano. Un’altra è l’idea che ridurre il rumore farà pensare tutti allo stesso modo e sterilizzerà la creatività e l’innovazione. Questo è un malinteso. Naturalmente, ci sono ambiti in cui è necessaria la creatività e in questi ambiti non ci si aspetta che le persone siano d’accordo. Non vuoi che tutti gli scrittori scrivano lo stesso libro. Non vuoi che tutti gli scienziati utilizzino lo stesso approccio per risolvere un problema scientifico. La variabilità in questi ambiti è benvenuta, non è rumore. Ma nella maggior parte delle situazioni, la variabilità non è la benvenuta. Ecco perché definiamo il rumore come variabilità indesiderata. Quando due medici vedono lo stesso paziente e hanno una diagnosi diversa, non celebriamo la loro creatività, né applaudiamo la loro innovazione. Diciamo solo che almeno uno di loro deve essersi sbagliato.

Quando la riduzione del rumore invece non è una priorità?
La riduzione del rumore ha dei vantaggi, ma ha anche dei costi. La domanda che un’organizzazione deve porsi è: i benefici valgono i costi? L’obiettivo nella maggior parte delle organizzazioni non dovrebbe essere quello di eliminare il rumore, ma di ridurlo a un livello accettabile. Il modo per farlo è ciò che chiamiamo igiene decisionale: adottare metodi e processi decisionali che rendano i tuoi giudizi più disciplinati e meno suscettibili al rumore. Ad esempio, puoi strutturare decisioni complesse per suddividerle nelle loro parti componenti. Oppure puoi sviluppare linee guida che ti aiutino a inquadrare il tuo giudizio. Oppure puoi fare la media dei giudizi di più persone. Ci sono molti modi. E devi scegliere gli approcci giusti per assicurarti che i costi non siano troppo alti.

tratto da Corriere.it

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