
Origini, famiglia e primi passi
Carlos Soria Fontán nasce il 5 febbraio 1939 ad Ávila, nella regione di Castiglia e León, Spagna . Purtroppo, nelle fonti consultate non hp trovato informazioni dettagliate sui suoi genitori o sulla famiglia di origine. Tuttavia, il contesto di crescita — una città storica, immersa in una cultura intrisa di tradizione e valore — potrebbe , come di solito, aver influenzato positivamente la sua personalità e inclinazioni.
La sua passione per la montagna scocca all’età di 14 anni, quando compie la prima scalata nella Sierra de Guadarrama, accompagnato da un amico. Il contesto ambientale — montagne accessibili ma impegnative — e la compagnia di coetanei come Antonio Riaño probabilmente favorirono il suo avvicinamento precoce al mondo dell’arrampicata.
A 21 anni, nel 1960, compie un gesto che racconta tanto del suo carattere: affrontare una lunga traversata fino alle Alpi in sella a una Vespa, per cimentarsi in scalate di maggiore impegno. La determinazione e l’intraprendenza emergono già in questa giovanile impresa.
Formazione e contesti ambientali
Negli anni successivi, partecipa a spedizioni pionieristiche:
1968: prima spedizione spagnola sul Monte Elbrus, vetta più alta d’Europa (5 642 m) . 1971: spedizione in Alaska per scalare il Denali (6 194 m), la punta più impervia del Nord America . 1973 e 1975: partecipa alle primissime spedizioni spagnole in Himalaya, inclusa la storica ascesa spagnola di un ottomila — segnata dal successo di Jerónimo López e Gerardo Blázquez .
Questi viaggi in ambienti estremi, spesso lontani dai grandi riflettori, plasmano il suo carattere: la solitudine, l’autonomia, l’autosufficienza rappresentano valori saldi nel suo stile di alpinismo.
La carriera “ufficiale”: gli ’Ottomila dopo i 60 anni
La sua tenacia trova compimento con la scalata del Nanga Parbat nel 1990, a 51 anni, il suo primo ottomila dopo decenni di tentativi.
Ecco la lista delle cime oltre gli 8 000 m che ha conquistato, quasi tutte dopo i 60 anni:
Nanga Parbat – 1990 (51 anni) Gasherbrum II – 1994 (55) Cho Oyu – 1999 (60) Everest – 2001 (62) K2 – 2004 (65) Broad Peak – 2007 (68) Makalu (senza ossigeno) – 2008 (69) Gasherbrum I – 2009 (70) Manaslu – 2010 (71) Lhotse – 2011 (72) Kanchenjunga – 2014 (75) Annapurna – 2016 (77) .
È l’unico alpinista al mondo ad aver scalato dieci ottomila dopo i 60 anni, e detiene il record come persona più anziana ad aver salito vette come il K2, il Makalu, il Kanchenjunga, l’Annapurna .
Stile e valori umani
Soria è noto per la sua conduzione spesso solitaria delle spedizioni, con l’aiuto di sherpa fidati, in particolare Muktu Sherpa, che lo ha accompagnato in numerose spedizioni e salite di ottomila .
Dal 2011, ha ottenuto supporto dal BBVA e da Correos, che hanno potenziato le sue spedizioni verso il completamento dei 14 ottomila.
La sua presenza è caratterizzata da un’immagine umile e riservata, un esempio pratico di come vivere attivamente e con passione anche in età avanzata. È relatore in forum e convegni su alpinismo, sicurezza e benessere senior .
Aneddoti & Fatti recenti
Annapurna a 77 anni: ascesa tra le più pericolose, conclusa con successo nel 2016, a sottolineare come “la cima si raggiunge solo tornando al campo base” .
Incidente al Dhaulagiri nel 2023: colpito da uno sherpa durante la discesa a 7 700 m, si frattura il perone e la tibia e compie una discesa rischiosa di 17 ore fino al campo 2 per essere recuperato da un elicottero.

Aconcagua, Febbraio 2025, a 86 anni, nonostante una ridotta mobilità per la frattura pregressa: “Non ho perso nulla in quanto a voglia di vivere e continuare a salire le montagne…” .
Progetti Futuri e Obiettivi
Ritorno al Manaslu , Agosto (2025): a 86 anni, pianifica di scalare nuovamente il Manaslu, simbolicamente 50 anni dopo il primo tentativo spagnolo negli anni ’70. Obiettivo: diventare l’alpinista più anziano a conquistare un ottomila . Dhaulagiri e Shisha Pangma: restano le due vette mancanti per completare la serie dei 14 ottomila. Il Dhaulagiri è una meta ambita, nonostante l’incidente; lo Shisha Pangma è stato tentato, ma la vetta principale rimane ancora fuori cintura . La sua filosofia è sintetizzata nella sua massima: “Per salire, bisogna andare” — il motore della sua vita e delle sue spedizioni .
Infine
Carlos Soria Fontán incarna la sinfonia della tenacia e della passione. Nato ad Ávila, mosse i primi passi tra le montagne locali, fino a diventare un alpinista storico: primo a compiere ottomila in età così avanzata, sempre con umiltà, determinazione e autenticità.
La sua storia è fatta di voglia di vivere, resilienza e sogni letteralmente conquistati: una promessa mantenuta a sé stesso e al mondo. Oggi — con 12 delle 14 vette oltre 8000 m all’attivo — mira al Manaslu e al Dhaulagiri, in una carriera che non ha mai smesso di stupire.
Il profilo psicologico di Carlos Soria e degli uomini oltre la norma

Carlos Soria Fontán nasce il 5 febbraio 1939 ad Ávila, una città murata della Castiglia, in una Spagna che ancora portava addosso le ferite della guerra civile e della povertà del dopoguerra. Della sua famiglia sappiamo poco, ma abbastanza per intuire che non fosse un ambiente privilegiato. Crescere in quegli anni significava imparare presto la durezza della vita quotidiana: pochi mezzi, grandi restrizioni, e la necessità di arrangiarsi. In contesti simili, il carattere si tempra non per scelta ma per necessità, e il bambino che diventerà alpinista impara già a percepire la fatica come parte naturale dell’esistenza.
A quattordici anni compie la sua prima scalata nella Sierra de Guadarrama, vicino Madrid. È un gesto apparentemente semplice, ma segna una direzione. Nel 1960, a ventun anni, prende una Vespa e parte per le Alpi: non un atto romantico, ma concreto, pratico, fatto di risorse minime e massima intraprendenza. È qui che si intravede la sua cifra: non attendere condizioni ideali, ma fare il passo con ciò che si ha. In lui si forma una convinzione che accompagnerà tutta la vita: i limiti non sono barriere invalicabili, sono variabili da gestire.
Gli anni Settanta lo vedono protagonista delle prime spedizioni spagnole in Himalaya. Non conquista ancora le vette maggiori, ma partecipa, osserva, si misura. Sono esperienze formative: la montagna non come luogo di conquista immediata, ma come terreno di lunga preparazione, di fallimenti e di ritorni. Questa scuola di pazienza e resistenza alla frustrazione diventa la sua impronta psicologica più netta.
Soria raggiunge il suo primo ottomila, il Nanga Parbat, nel 1990, a 51 anni. Un’età in cui molti hanno già chiuso la fase delle grandi sfide, lui inizia la stagione delle sue più importanti. Da quel momento diventa “l’uomo degli ottomila maturi”: Gasherbrum II, Cho Oyu, Everest, K2, Broad Peak, Makalu, Manaslu, Lhotse, Kanchenjunga, Annapurna. Dodici vette sopra gli ottomila metri, la maggior parte conquistate tra i 60 e i 77 anni. Record che non si spiegano con la biologia, ma con una combinazione psicologica rara: tolleranza estrema alla frustrazione, motivazione intrinseca, capacità di regolazione emotiva.
Perché uomini come lui sono “oltre la norma”? Non perché ignorino la paura o neghino la fragilità. Il suo corpo conosce bene gli anni: le ossa si rompono, il fiato si accorcia, i recuperi sono più lenti. Ma la mente pesa di più. Laddove altri vedono età, lui vede una nuova variabile da integrare. L’ostacolo non è il nemico, è parte del gioco. La differenza è tutta qui: mentre la norma si ferma davanti al limite, chi è oltre la norma lo ingloba e continua a muoversi.
Soria non è un superuomo, non cerca riflettori. Anzi, la sua figura rimane lontana dalla spettacolarizzazione. È orientato al compito, non al riconoscimento. La cima non è un trofeo, ma il risultato naturale di un processo identitario. Per lui salire è la forma stessa dell’essere, non un atto eccezionale ma un atto coerente. La sua frase più celebre, “Per salire bisogna andare”, racchiude questa logica: la vetta è conseguenza del movimento, non promessa da esibire.
Oggi, a 86 anni, dopo un incidente al Dhaulagiri e una frattura che avrebbe potuto segnare la parola fine, Soria prepara un nuovo ritorno al Manaslu. Non solo per aggiungere un record, ma per chiudere un cerchio iniziato mezzo secolo fa, quando nel 1975 prese parte alla prima spedizione spagnola verso quella montagna. Gli restano due soli ottomila per completare la collezione delle quattordici cime himalayane: Dhaulagiri e Shisha Pangma. Ma al di là del risultato, il senso è un altro.
Il senso è che uomini come lui incarnano un paradosso: fragili e potenti insieme. Non negano il tempo, lo attraversano. Non eliminano la paura, la governano. Non cercano la gloria, cercano la coerenza con se stessi. È questa continuità totale tra identità e azione che li pone oltre la norma. Per la maggioranza, a quell’età, il limite è una barriera; per loro, il limite diventa il compagno di viaggio.
Carlos Soria non rappresenta un’eccezione biologica, ma un esempio radicale di psicologia applicata alla vita: quando l’essere e il fare coincidono, non esiste età che possa davvero fermare il cammino.