Qualche giorno fa Kathmandu si è celebrato l’anniversario della prima salita dell’Everest. Hillary e Norgay, 1953.
Sono partiti. Sono arrivati.
O – come è successo a molti altri – ci potevano lasciare le penne. Ma l’avevano messo in conto. Lo sapevano prima. E hanno accettato.
«Quando guardo indietro a quella prima salita, mi rendo conto che il nostro spirito era più importante dell’attrezzatura»
(Tenzing Norgay)
Questo è il punto. Non è una storia solo di alpinismo. È una storia di tenacia, di scelte, e di consapevolezza del rischio.
Ognuno ha il suo Everest.
Non serve l’Himalaya. Basta avere una direzione, una fatica, un rischio reale. Il problema è che oggi, in troppi, non hanno nemmeno quello. Sognano. Raccontano. Guardano gli altri.
Ma non partono.