Catastrofismo e Iperottimismo: minano la prestazione

Come riconoscere e neutralizzare le distorsioni cognitive più diffuse nel mondo sportivo

Nel mondo dello sport, la mente dell’atleta è spesso descritta come la vera arena della competizione. È nella sua interiorità che si vincono o si perdono molte delle battaglie decisive. In questo viaggio mentale, due insidie spesso si presentano mascherate da buonsenso o da spinta motivazionale: il catastrofismo e l’iperottimismo. Sono polarità opposte, ma ugualmente pericolose.

“Il realismo è la tua mappa, ti mostra dove sei. L’ottimismo è il vento nelle tue vele.”
(Oltre ogni vittoria – Introduzione)

Immaginiamo un atleta che si prepara da mesi a una competizione. Si è allenato con dedizione, ha curato la tecnica, la tattica, la nutrizione. Ma a poche ore dalla gara, una voce nella sua testa inizia a sussurrare scenari drammatici: “E se sbaglio? E se fallisco di nuovo?”. Questo è il catastrofismo: un allenatore interno crudele, sempre pronto a segnalare l’abisso anche quando c’è solo una piccola crepa.

“Chi pensa in modo catastrofico non vede la realtà, ma una previsione distorta e autodistruttiva.”
(Performance – Motivazione)

All’estremo opposto, un altro atleta si sente invincibile. Minimizza ogni difficoltà, ignora i segnali di stanchezza, rientra in campo troppo presto dopo un infortunio. “Ce la farò comunque, come sempre!” proclama, con tono trionfante. Questo è l’iperottimismo: un alleato illusorio che alimenta una fiducia cieca, spesso disancorata dalla realtà.

Entrambi gli approcci, se non riconosciuti e modulati, possono compromettere la prestazione. Il catastrofismo blocca, l’iperottimismo espone. Il primo genera paralisi, il secondo imprudenza. Entrambi nascono da uno squilibrio nel rapporto tra emozione, cognizione e consapevolezza.

Chi è incline al catastrofismo vive sotto l’ombra del fallimento. Ogni errore, anche minimo, viene percepito come una profezia di rovina. Si entra in campo già sconfitti, prigionieri di un futuro immaginato. La mente costruisce castelli di ansia che crollano poi al primo impatto con la realtà.

Chi invece si lascia sedurre dall’iperottimismo costruisce illusioni. È la convinzione di poter sempre dominare la realtà, anche quando i segnali invitano alla prudenza. È un pensiero che ignora il processo, la gradualità, la fatica. Spesso chi è guidato da questo stile mentale si ritrova a dover affrontare conseguenze che non aveva minimamente considerato.

Entrambe le modalità di pensiero sono radicate in caratteristiche psicologiche profonde. Il catastrofista ha spesso un bisogno elevato di controllo e approvazione, e una bassa tolleranza all’incertezza. L’iperottimista, invece, tende a rifiutare i limiti, spesso per non affrontare il dolore dell’imperfezione o della vulnerabilità.

Come si esce da queste trappole mentali? Prima di tutto attraverso l’osservazione. Serve imparare a riconoscere i propri pensieri, a non farsi dominare da essi. Non basta pensare: bisogna imparare a pensare sul proprio pensiero. È qui che entra in gioco l’allenamento mentale.

“L’atleta che sa di sé, ma non agisce per migliorarsi, è uno spettatore passivo del proprio film interiore.”
(Primum non nocere – Convinzione)

Strumenti come il journaling cognitivo aiutano a rendere visibile ciò che spesso rimane confuso. Scrivere ogni giorno le proprie sensazioni, paure e convinzioni aiuta a dare ordine al caos interno. Il self-talk, o dialogo interno guidato, consente di trasformare le frasi disfunzionali in affermazioni realistiche e motivanti.

La mindfulness, attraverso esercizi di respirazione e consapevolezza, favorisce l’ancoraggio al presente. Permette di ridurre la reattività emotiva e osservare i pensieri senza identificarvisi. Anche la costruzione di scenari alternativi è un esercizio utile per sviluppare flessibilità cognitiva: immaginare non solo il peggio o il meglio, ma diverse possibili realtà.

L’allenatore, da parte sua, ha un ruolo cruciale. Attraverso un feedback realistico, può aiutare l’atleta a ricalibrare la propria percezione, basandosi su dati oggettivi e non su impressioni. La relazione tra coach e atleta deve essere un luogo di verità, dove si apprende a distinguere l’utile dal dannoso.

“Allenare significa generare contesti, non solo impartire direttive. È creare terreno fertile per l’autonomia mentale.”
(Primum non nocere – La mia filosofia)

Il vero equilibrio mentale non è l’assenza di emozioni negative, ma la capacità di contenerle e integrarle. L’eccellenza mentale è uno stato dinamico, una danza tra lucidità e passione, tra visione e concretezza. Allenare la mente significa sviluppare la forza interiore per restare centrati anche nei momenti più turbolenti.

“Il successo non è l’obiettivo. È la conseguenza naturale di un percorso vissuto con intensità e consapevolezza.”
(Tra i fiori – Eccellenza)

Consigli pratici per atleti e tecnici

Per l’atleta:

  1. Scrivi ogni sera tre pensieri che hai avuto durante l’allenamento o la gara, e chiediti: “Sono reali o sono proiezioni?”
  2. Pratica la respirazione consapevole per 5 minuti al giorno per ancorarti al presente.
  3. Chiedi feedback realistici al tuo coach: non cercare solo conferme, ma anche chiarimenti.
  4. Confronta i tuoi pensieri con i dati reali: hai davvero fallito o hai fatto un errore isolato?
  5. Visualizza scenari plurimi, non solo il migliore o il peggiore. Allenati alla complessità.

Per il tecnico:

  1. Osserva il linguaggio dell’atleta: tende a generalizzare in negativo o a sottovalutare i rischi?
  2. Promuovi la riflessione: dedica tempo a debriefing mentali, non solo tecnici.
  3. Usa la videoanalisi mentale: mostra all’atleta momenti di successo per rafforzare l’autoefficacia.
  4. Insegna il linguaggio del possibile, aiutando a costruire pensieri funzionali e concreti.
  5. Fai domande aperte che stimolino la consapevolezza e il pensiero critico.

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