Michael Phelps, il leggendario nuotatore statunitense e vincitore di 23 medaglie d’oro olimpiche, parlò apertamente del suo malessere psicologico, offrendo uno spaccato sincero sulla sua lotta contro la depressione e l’ansia. Le sue dichiarazioni hanno avuto un forte impatto, sensibilizzando il pubblico sull’importanza della salute mentale, specialmente tra gli atleti di alto livello.
Il senso di vuoto dopo il successo
Phelps ha descritto il periodo post-olimpico come particolarmente difficile. Dopo aver raggiunto l’apice della carriera sportiva e stabilito record storici, si è trovato a lottare con un profondo senso di vuoto. Ha detto:
“Dopo ogni Olimpiade, c’era una fase in cui non sapevo cosa fare di me stesso. Mi sentivo perso.”
Questa affermazione evidenzia come il raggiungimento degli obiettivi non garantisca automaticamente la felicità o la soddisfazione personale.
Depressione e pensieri suicidi
Nel 2014, Phelps ha attraversato uno dei momenti più bui della sua vita, culminato in un arresto per guida in stato di ebbrezza. Ha rivelato di aver contemplato il suicidio:
“Non volevo più vivere. Mi sentivo come se tutto fosse crollato. Era un punto in cui non riuscivo a vedere una via d’uscita.”
Questo episodio è emblematico della pressione e dell’isolamento che possono colpire anche le persone all’apparenza più di successo.
Il peso delle aspettative
Phelps ha raccontato di essersi sentito schiacciato dalle aspettative degli altri, soprattutto dopo essere stato definito un “fenomeno” fin da giovane:
“Ho vissuto per soddisfare ciò che gli altri si aspettavano da me, ma spesso mi sono dimenticato di me stesso.”
La pressione di dover sempre performare al massimo lo ha portato a trascurare i suoi bisogni emotivi e mentali.
Il valore della terapia
Phelps ha riconosciuto il ruolo fondamentale della terapia e del supporto psicologico nella sua guarigione. Dopo il 2014, ha iniziato un percorso terapeutico che gli ha permesso di comprendere meglio se stesso:
“Parlare con qualcuno mi ha salvato la vita. Ho capito che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di forza.”
Questo messaggio è diventato il cuore della sua campagna di sensibilizzazione.
La missione di advocacy per la salute mentale
Oggi, Phelps è uno dei più grandi sostenitori della salute mentale, soprattutto per gli atleti. Con la sua Michael Phelps Foundation e collaborazioni con organizzazioni come Talkspace, ha condiviso la sua storia per ispirare gli altri a cercare aiuto:
“La salute mentale è importante quanto la salute fisica. Dobbiamo rompere il silenzio e far capire che non siamo soli.”
Emozioni represse e lotta interiore
Phelps ha ammesso di aver represso molte emozioni nel corso della sua carriera, un aspetto comune tra gli atleti di élite:
“Ero abituato a nascondere tutto dietro una facciata di forza. Non mostravo mai debolezze, perché pensavo fosse ciò che dovevo fare.”
Questa repressione, tuttavia, ha contribuito a peggiorare il suo stato mentale.
Un ambasciatore della salute mentale
La storia di Michael Phelps dimostra che anche le persone di successo possono lottare con problemi di salute mentale. La sua apertura ha creato un dialogo importante, soprattutto nel mondo dello sport, dove il benessere mentale è spesso trascurato. Attraverso le sue dichiarazioni e azioni, Phelps sta contribuendo a cambiare la narrativa e a normalizzare la conversazione sulla salute mentale.
Il mondo sportivo è cambiato significativamente ma non abbastanza , grazie alla testimonianza di Michael Phelps e di altri atleti che hanno affrontato apertamente il tema della salute mentale. La sua influenza, combinata con quella di figure come Simone Biles e Naomi Osaka, ha portato a una maggiore consapevolezza e a cambiamenti concreti ma non sufficienti nel trattamento e nel supporto psicologico per gli atleti. Ecco come è cambiato il mondo sportivo:
Maggiore attenzione alla salute mentale
Prima, la salute mentale nello sport era spesso ignorata o stigmatizzata. Oggi, è diventata una parte integrante della preparazione atletica:
- Introduzione di team di supporto psicologico: Molti team e federazioni sportive ora includono figure idonee nei loro organigrammi. Tuttavia troppi ciarlatani trovano ancora spazio.
- Piani di benessere mentale: Le organizzazioni sportive, come il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), hanno avviato programmi specifici per monitorare e migliorare la salute mentale degli atleti.
Normalizzazione del dialogo sulla salute mentale
Grazie a Phelps e ad altri atleti, parlare di problemi come ansia, depressione e burnout è meno tabù:
- Apertura tra gli atleti: Gli atleti si sentono più a loro agio nel condividere le loro difficoltà senza temere di essere giudicati.
- Media e società più comprensivi: La narrazione attorno agli atleti si è spostata, passando dalla pura glorificazione della performance a tutti i costi alla comprensione delle sfide personali.
Riduzione della pressione eccessiva
La pressione esercitata su atleti di alto livello, specialmente sui giovani prodigi, è stata in parte rivalutata:
- Bilanciamento tra performance e benessere: Molte organizzazioni stanno incoraggiando un approccio olistico allo sviluppo degli atleti, focalizzandosi su una crescita sana, oltre ai risultati.
- Modifiche ai calendari competitivi: In alcuni sport, si sta cercando di ridurre i carichi di lavoro per prevenire il burnout.
Cambiamenti nei criteri di leadership e coaching
Gli allenatori e i dirigenti sportivi sono sempre più formati ma assolutamente non ancora abbastanza, per comprendere l’importanza della salute mentale:
- Leadership empatica: Gli allenatori sono invitati a essere più sensibili ai segnali di stress emotivo.
- Formazione obbligatoria: In alcuni Paesi e sport, i programmi di formazione per allenatori includono moduli sulla salute mentale.
Sviluppo di iniziative specifiche
L’industria sportiva ha lanciato diverse iniziative per affrontare la salute mentale:
- Partnership con esperti: Phelps, ad esempio, ha collaborato con Talkspace, una piattaforma di terapia online, per promuovere l’accesso alla terapia.
- Campagne di sensibilizzazione: Molte federazioni sportive promuovono campagne per ridurre la stigmatizzazione della salute mentale.
Nuova immagine dell’atleta
Il modello di atleta invincibile e imperturbabile è stato sostituito da un’immagine più realistica e umana:
- Valorizzazione dell’autenticità: Gli atleti che mostrano vulnerabilità sono ora visti come più autentici e ispiratori.
- Focus sull’equilibrio: La narrativa si è spostata verso la ricerca di un equilibrio tra successo personale, benessere emotivo e soddisfazione professionale.
Impatto sui giovani atleti
Il cambiamento di mentalità ha un effetto positivo sui giovani atleti:
- Riduzione dello stress competitivo: I giovani talenti sono certamente meno spinti a sacrificare tutto per il successo, grazie a modelli come Phelps che enfatizzano il valore della salute mentale.
- Educazione precoce: I programmi giovanili includono sempre più risorse per insegnare la gestione dello stress e delle emozioni.
Più ricerca e risorse
La testimonianza di Phelps ha stimolato la ricerca sulla salute mentale nello sport:
- Studi scientifici: Sono aumentati gli studi sugli effetti della pressione competitiva e sugli interventi per il benessere mentale.
- Allocazione di fondi: Le organizzazioni stanno investendo più risorse per creare ambienti di supporto per gli atleti.
Grazie a Michael Phelps e ad altri atleti che hanno condiviso le loro esperienze, il mondo sportivo è diventato più consapevole, empatico e orientato al benessere globale degli atleti. Il suo esempio ha contribuito a creare un cambiamento culturale che non riguarda solo lo sport, ma anche il modo in cui la società percepisce il successo e la salute mentale.
IN PRATICA
È tuttavia semplice percepire molte iniziative legate alla salute mentale nello sport come “tanta fuffa”, specialmente quando sembrano più dichiarazioni di facciata che azioni concrete. Spesso, l’entusiasmo iniziale non si traduce in programmi strutturati, continui e realmente efficaci.
Alcune considerazioni per valutare meglio questa percezione e capire dove potrebbero esserci lacune:
Mancanza di implementazione pratica
Molte iniziative dichiarate, come la presenza di figure idonee nello staff tecnico o programmi di supporto mentale, sono spesso limitate a pochissimi atleti di punta o a situazioni eccezionali. Per gli atleti meno noti, il supporto mentale potrebbe essere inesistente o relegato a interventi occasionali.
Focus su immagine e marketing
Spesso si usa la salute mentale come tema per migliorare la propria immagine pubblica. La comunicazione può essere più orientata al branding che a reali cambiamenti nella cultura sportiva interna. Questo genera una discrepanza tra ciò che viene dichiarato e ciò che realmente avviene sul campo.
Investimenti inadeguati
Un reale cambiamento richiede risorse economiche significative. Molte organizzazioni non hanno i budget o la volontà di finanziare programmi di lungo periodo dedicati alla salute mentale. La priorità resta quasi sempre sulle performance sportive senza capire che la salute mentale è parte integrante delle Peak Performance.
Stigma persistente
Nonostante la crescente consapevolezza, lo stigma attorno alla salute mentale resta radicato, specialmente in contesti sportivi dove la “forza” e la “resilienza” sono idolatrate per abitudine senza considerare che la seconda ha prevalentemente a che vedere con la mente.Gli atleti possono sentirsi giudicati o temere conseguenze per la loro carriera se ammettono di avere problemi psicologici.
Mancanza di misurabilità
Molti programmi non sono accompagnati da sistemi per misurarne l’efficacia. Questo rende difficile capire se stanno davvero avendo un impatto o se sono solo simbolici.
La cultura del sacrificio prevale ancora
La cultura sportiva, specialmente in discipline tradizionali, enfatizza ancora l’idea stantia del sacrificio e della sopportazione o meglio una interpretazione stantia delle stesse. Questa mentalità rende difficile accettare l’importanza della salute mentale come priorità pari alle prestazioni fisiche.
Cosa potrebbe fare la differenza
- Monitoraggio continuo: Creare programmi sistematici, obbligatori e misurabili per tutti gli atleti.
- Accessibilità universale: Garantire supporto psicologico non solo agli atleti di élite ma anche a quelli di categorie inferiori.
- Formazione culturale: Educare allenatori, dirigenti e staff tecnico sulla salute mentale per ridurre lo stigma.
- Sanzioni per chi ignora il problema: Federazioni e club dovrebbero essere penalizzati se non forniscono supporto adeguato.
- Voci degli atleti: Coinvolgere gli atleti stessi nella progettazione e valutazione di iniziative di salute mentale.
Se percepisci che la situazione attuale è più apparenza che sostanza, il punto cruciale è che spesso manca un vero cambio culturale. Gli interventi strutturali sono ancora pochi, e il focus tende a rimanere su prestazioni e risultati, anziché sul benessere complessivo che è di maggior garanzia per gli stessi oltre che aumentare la platea degli atleti competivi.
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