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L’altra faccia dello sport: pressione, aspettative e salute mentale

“I struggle often with a feeling like I am an imposter which I think is why this question of legacy is so loaded. I find it hard to verbalize exactly all the things I love to do beyond the slopes and all the things that I am already doing. “ Mikaela Shiffrin

Lo sport è sempre associato a immagini di successo, determinazione e trionfo. Tuttavia talvolta ma cosa importante , dietro le medaglie e gli applausi si nasconde un lato oscuro fatto di pressioni psicologiche, aspettative irrealistiche e sofferenze emotive che, in alcuni casi, possono portare a esiti tragici. Non ne sono immuni altri contesti ma nel caso dello sport ci sono forse meno opportunità di compensazione. La storia recente di alcuni giovani atleti, tra cui Tuur Hancke, Igor Decraene e Olivia Podmore, casi estremi, mi sollecita a mantenere in vita il dibattito sull’importanza della salute mentale nello sport.

La pressione dello sport agonistico

La competizione a livelli elevati è intrinsecamente stressante. Gli atleti d’élite devono affrontare una combinazione di aspettative esterne, ed interne ,accentuate dai media e dal pubblico. Questo crea un ambiente in cui la performance è tutto, lasciando troppo poco spazio per l’errore o per le debolezze umane.

Atleti come Simone Biles, che ha rinunciato a diverse competizioni olimpiche nel 2021 per proteggere la sua salute mentale, hanno evidenziato l’importanza di porre limiti personali. “Non siamo macchine”, ha dichiarato Biles, richiamando l’attenzione sulla necessità di supportare gli atleti anche dal punto di vista psicologico. Biles è diventato un caso simbolo ma se ne potrebbero citare molti altri molto noti o magari meno noti in cui il disagio è lo stesso anche se fa meno notizia.

I casi emblematici

Tuur Hancke, giovane ciclista belga di 19 anni, ha perso la vita il giorno del suo compleanno, appena qualche giorno fa. Sebbene la causa ufficiale della sua morte sia stata attribuita da una sola fonte a una meningite fulminante, molti media la riportano in modo piuttosto nebuloso tanto da far sospettare altro nel momento in cui si mette chiaramente in evidenza che il ragazzo avesse problemi psicologici scatenati dal mondo delle corse in bici e che lo avevano indotto giovanissimo al ritiro non senza malessere. La sua storia riporta in primo piano un aspetto sempre sottovalutato ovvero le difficoltà che atleti giovani e non solo affrontano nel conciliare sport e vita personale. Hancke, come accennato, aveva smesso di gareggiare appena un mese prima per concentrarsi sugli studi, in difficoltà nel gestire le sfide che molti giovani talenti devono affrontare quando il peso delle aspettative generali diventa insostenibile.

Igor Decraene, campione del mondo juniores a cronometro, si è tolto la vita a 18 anni qualche anno fa. La pressione di mantenere il livello di successo che aveva raggiunto lo ha travolto, portandolo a un gesto estremo. La sua morte ha evidenziato quanto sia cruciale fornire supporto psicologico agli atleti, specialmente ai più giovani.

Olivia Podmore, ciclista neozelandese, ha lasciato un messaggio sui social poco prima della sua morte nel 2021, descrivendo le pressioni e le sfide affrontate dagli atleti. La sua tragica fine ha spinto molte federazioni sportive a rivedere le politiche di supporto per il benessere mentale. Non abbastanza.

Certo non dobbiamo considerare questi ragazzi/atleti come vittime dirette dello sport e di quello agonistico in particolare ma considerare che certo potevano avere criticità personali che lo sport, nelle sue varie componenti, può aver contribuito ad esasperare. D’altra parte e come detto può accadere anche in altri contesti. Quindi la salute mentale degli atleti è un tema che non puo’ essere sottovalutato dagli organismi preposti così come si fa per quella strettamente fisica. Ci sono due motivi fondamentali: il primo, molto cinico ed opportunistico, è rappresentato dal fatto che un atleta performa certo meglio se sta bene dove lo star bene è riferito troppo spesso solo all’aspetto prettamente fisico mentre più spesso una buona prestazione è legata alla “testa”.Il secondo è che la salute degli atleti ci deve interessare per la parte mentale almeno quanto ci interessa per parte fisica, e non è così in genere. Non è infrequente leggere di atleti che sono fermati nelle loro attività temporaneamente o stabilmente per problemi cardiaci o di altro genere organico così come per infortunio ma non ricordo inidoneità ,anche temporanee, per generici, più o meno gravi, disagi psicologici per i quali invece si diventa inidonei in molti altri campi. E’ un fatto estremamente grave, gravissimo , che oggi figure pseudo professionali affianchino, o millantino di affiancare atleti, anche di punta, senza avere nessuna preparazione seria nessun titolo per poter cogliere clinicamente disagi psicologici anche leggeri, frequentissimi, che potrebbero rivelarsi fatali sia in termini prestativi che e soprattutto in termini di benessere individuale dove la conseguenza estrema è solo un apice fortunatamente molto infrequente.

Non solo suicidi: le altre sofferenze mentali

Oltre ai casi fortunatamente estremi di suicidio, gli atleti affrontano una vasta gamma di problemi legati alla salute mentale:

  • Ansia da prestazione: La paura di fallire o di non essere all’altezza delle aspettative può causare sintomi debilitanti, come attacchi di panico e insonnia. Robert Enke, portiere tedesco, soffriva di attacchi di panico prima delle partite.
  • Depressione: Gianluigi Buffon, portiere leggendario, ha raccontato di aver vissuto periodi di depressione durante la sua carriera, in cui sentiva un vuoto nonostante i suoi successi.
  • Burnout: L’esaurimento mentale e fisico, causato da allenamenti intensivi e competizioni continue, è comune. Per citare qualcuno, Simone Biles e Naomi Osaka, tennista giapponese, hanno entrambe ammesso di aver sofferto di burnout.
  • Disturbi alimentari: Specialmente in sport estetici o di categoria di peso, come la ginnastica o il pugilato o similari, gli atleti possono sviluppare disordini alimentari nel tentativo di raggiungere mantenere il “peso ideale”, pressati con modalità magari inconsapevolmente inadeguate.

I segnali da non ignorare

Per prevenire situazioni critiche, è fondamentale riconoscere i segnali di sofferenza mentale:

  • Cambiamenti drastici nell’umore o nel comportamento.
  • Isolamento sociale e ritiro dalle attività quotidiane.
  • Perdita di interesse nelle competizioni o negli allenamenti.
  • Commenti negativi su sé stessi o sul futuro.
  • Disturbi del sonno e cambiamenti significativi nell’appetito.

Cosa si può fare?

  1. Promuovere un approccio olistico: Gli atleti devono essere visti non solo come performers, ma anche come individui. È essenziale creare un ambiente in cui il benessere mentale sia prioritario quanto quello fisico. Ambedue sono ugualmente fondamentali e per la prestazione e per la qualità di vita generale
  2. Supporto psicologico: Le federazioni sportive devono includere stabilmente figure professionalmente idonee e preparate, quindi con CV adeguati , nei loro team per aiutare gli atleti a performare meglio ma anche a gestire lo stress che deriva dalle normali aspettative esterne ed interne relativamente alla prestazione e che riverbera inevitabilmente sulla qualità della vita.
  3. Educazione: È fondamentale educare gli allenatori, i genitori e gli atleti stessi sull’importanza della salute mentale e sui segnali di sofferenza.
  4. Cultura del fallimento: Normalizzare gli errori e il fallimento come parte del percorso di crescita sportiva , costruire obiettivi e piani di lavoro specifici e realistici per ogni atleta, riduce la pressione sugli atleti. E’ un concetto importante questo che troppo spesso è frainteso.
  5. Accesso al tempo libero: Permettere agli atleti e sensibilizzare gli stessi ad avere una vita al di fuori dello sport. E’ cruciale per mantenere un equilibrio mentale.

Lo sport, con la sua fondamentale capacità di ispirare e unire, non può ignorare le sue sfide interne . Le storie di Tuur Hancke, Igor Decraene e Olivia Podmore, così come le esperienze di campioni come Simone Biles e Robert Enke, devono servire da campanello d’allarme. Gli atleti sono esseri umani con emozioni, sogni e vulnerabilità, e il loro benessere mentale deve essere una priorità assoluta per il mondo sportivo. Non basta allenare il corpo; bisogna anche sostenere la mente. O forse questa distinzione è inutile?

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