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Rumori e distorsioni: perché quando decidiamo non tutti gli errori sono uguali

Si sbaglia per molti motivi differenti. E conoscerli può aiutare a decidere meglio. Ecco come

dal Sole 24 Ore-Vittorio Pelligra

(USA TODAY Sports)
(USA TODAY Sports)

Errori al supermercato

Quante volte vi sarà capitato di prendere un carrello un po’ sgangherato al supermercato, di quelli ingovernabili perché, per un difetto delle rotelle, deviano ora a destra ora a sinistra e vi fanno fare una gran fatica a correggere tutte le deviazioni per mantenere una traiettoria retta. Quelli sono carrelli “erronei”, per così dire. Poi, però, ci sono anche quei carrelli, altrettanto sgangherati, che invece tirano tutto a destra o tutto a sinistra e, allora, per raddrizzare la traiettoria dovete sistematicamente spingere con più forza verso sinistra o verso destra. Questi sono i carrelli “distorti”. Il risultato è sempre lo stesso – la difficoltà a mantenere una traiettoria diritta, ma le ragioni e soprattutto le contromisure necessarie per raggiungere lo scopo sono differenti.

Errori al pub

Siete al pub irlandese stasera e state assistendo ad una gara di freccette. Uno dei lanciatori è particolarmente esperto e tutte le sue freccette, una dopo l’altra, si conficcano in un’area ristretta intorno al centro. Anche il secondo giocatore sembra esperto; anche le sue freccette si concentrano in uno spazio molto ristretto del tabellone, intorno ad un punto. Peccato che quel punto sia molto lontano dal centro e più vicino al cerchio esterno del bersaglio. Poi c’è il terzo giocatore. Si vede che è un principiante. Ogni tiro raggiunge aree differenti del tabellone: qualcuno, pochi, vicino al centro, altri distanti, in alto, in basso, a destra e a sinistra. A fine partita viene decretato il vincitore che è, naturalmente, il primo giocatore. Il secondo e il terzo hanno ottenuto punteggi bassissimi anche se per ragioni differenti. I lanci del secondo giocatore erano sistematicamente “distorti”, mentre quelli del terzo giocatore erano “rumorosi”.

“Bias” e “noise”

Una distinzione, questa, tra “bias” e “noise” che è al centro del nuovo lavoro che il premio Nobel Daniel Kahneman ha appena pubblicato assieme a Cass Sunstein e Olivier Sibony (“Noise. A Flaw in Human Judgement”. Harper Collins, 2021) e che ci aiuta a comprendere meglio l’essenza di una nuova categoria di fenomeni che rischia continuamente di sviare le nostre decisioni inducendoci in errore con conseguenze, a volte quasi insignificanti, altre volte tragiche e destabilizzanti.

A volte un’eccessiva dispersione nelle valutazioni può solo creare confusione. Pensate a quante ne abbiamo sentite in questi mesi dai virologi più presenti nei salotti televisivi sulle cure più adeguate, sull’origine del virus, sull’utilità delle mascherine e delle altre misure di contenimento, sull’opportunità di chiudere, riaprire, distanziarsi, assembrarsi. Un gran rumore appunto.

Gli errori della politica

Le cose sono diventate più serie quando questo “rumore”, questa dispersione di ipotesi e approcci, ha invece iniziato ad informare le pratiche operative delle Regioni, dei comuni, delle aziende sanitarie riguardo al tracciamento, ai movimenti, agli screening, ai ricoveri, alle vaccinazioni. Si è spesso verificata una situazione di autentica disparità di trattamento. Perché in alcune regioni i maturandi hanno ricevuto il vaccino e in altre no? Può essere la fortuna o la sfortuna di essere nato in un luogo piuttosto che in un altro del territorio nazionale, la ragione sufficiente per essere esclusi da certi servizi cui, invece, in altri luoghi i cittadini della stessa Nazione hanno accesso? Ecco, il “rumore” diventa particolarmente pericoloso quando parliamo di decisioni e di valutazioni che hanno una certa componente casuale, come in questo caso il luogo di nascita. Ma facciamo un passo indietro.

Come decidiamo

Le decisioni, nella maggioranza dei casi, si basano su valutazioni, “judgements”, in inglese. Sappiamo da tempo come le nostre strategie cognitive, vere e proprie scorciatoie mentali, le euristiche, possono produrre distorsioni in tali valutazioni. Il mondo là fuori è complesso, le informazioni sovrabbondanti e il tempo per decidere che cosa fare è limitato. Le euristiche ci aiutano, nella stragrande maggioranza dei casi in modo egregio, a gestire questa complessità. Eliminiamo informazioni irrilevanti, diamo pesi differenti a ciò che ci interessa rispetto a ciò che può distrarci, il tutto per economizzare sul tempo e sull’energia che ogni decisione richiede. Ma queste euristiche si sono evolute per aiutarci a compiere queste operazioni in un ambiente che oggi non esiste più.

Il nostro cervello è perfettamente adattato per la savana di 150mila anni fa, un po’ meno per la società odierna e la sua incredibile velocità di cambiamento. Per questa ragione, ogni tanto, ma in modo prevedibile, le euristiche ci portano fuori strada. Queste deviazioni sono i “bias”. Con il rumore, il “noise”, le cose sono differenti. Mentre i “bias” ci spingono tutti nella stessa direzione, sbagliata, il “noise” descrive la grande variabilità delle nostre decisioni e dei nostri giudizi. La combinazione di “bias” e “noise”, naturalmente, non può che deteriorare ulteriormente la qualità delle nostre scelte.

Cosa incide sulla decisione

È necessario distinguere le due componenti, però, perché i rimedi possono esse molto differenti. Un esempio particolarmente allarmante di “noise” è quello con il quale Kahneman, Sunstein e Sibony aprono il loro libro: il comportamento dei giudici in tribunale. Abbiamo già visto in un “Mind the Economy” passato, come la probabilità di una decisione così importante come la concessione della libertà condizionata vari in maniera sistematica con la distanza temporale dall’ultimo pasto del giudice: dopo la colazione il valore è alto e si abbassa via via che si avvicina l’ora di pranzo. Dopo pranzo la percentuale torna nuovamente ad alzarsi per poi ridursi sistematicamente nel corso del pomeriggio. La qualità delle decisioni è ulteriormente messa in discussione dal fatto che molti studi mostrano come gli stessi reati vengano puniti con pene estremamente differenti tra loro. Il bersaglio è la condanna giusta, ma i giudici spesso lanciano le loro freccette in giro sul bersaglio molto lontano dal centro.

La discrezionalità del giudice è tradizionalmente considerata un valore; essa consente di calibrare le sentenze e le pene tenendo conto di innumerevoli fattori aggravanti o attenuanti che sarebbe impossibile codificare puntualmente e precisamente. Ma davvero questa discrezionalità è garanzia di una pena giusta? Negli anni ’70 del secolo scorso il giudice Marvin Frankel sollevò la questione nell’ambito del sistema penale americano. Pose il problema in questo modo: “Visto che un accusato di rapina in ambito federale può ricevere una condanna ad un massimo di 25 anni, questo non può voler dire che la sua sentenza può decretare qualunque pena compresa tra 0 e 25 anni”. Le idee di Frankel ebbero un largo seguito e gli studi empirici a riguardo iniziarono a produrre risultati sorprendenti: si scoprì che uno spacciatore di eroina poteva ottenere una sentenza variabile tra 1 e dieci anni di prigione in base al giudice a cui veniva assegnato il suo caso; la pena per una rapina in banca poteva variare dai 5 ai 18 anni di carcere; l’estorsione dai 3 ai 20 anni.

Causalità o casualità?

La situazione già piuttosto allarmante evidenziata da questi dati si aggrava ulteriormente quando si cercano le cause determinanti di queste valutazioni. Uno studio condotto su migliaia di sentenze relative a reati minorili trova che la severità delle pene comminate il lunedì risulta essere correlata con il risultato ottenuto durante il week-end dalla locale squadra di football. Uno studio analogo sulla concessione dell’asilo politico condotto su più di 200mila casi trova che la probabilità di ricevere una risposta positiva alla richiesta di accoglienza è inversamente correlata con la temperatura registrata quel giorno nella città sede della corte: se c’è caldo i giudici diventano meno accoglienti. Il fatto che lo stesso caso possa essere valutato in modo così differente da persone diverse è il classico caso di “noise”.

Pensiamo ad una diagnosi medica e al senso di chiedere un secondo parere. Se i due pareri non coincidono significa che un medico ha ragione o uno ha torto. Ma molto spesso non esiste una risposta giusta in assoluto come essere malato o essere sano. Molto spesso i “judgments” sono valutazioni rispetto al valore di uno studente o alle qualità di un aspirante ad un posto di lavoro, o alla colpa di uno dei soggetti coinvolti in un sinistro o alle potenzialità di un progetto di ricerca. In tutti questi casi se le valutazioni sono rumorose può succedere che, con una grande componente di casualità, studenti bravi vengano penalizzati o viceversa, aspiranti promettenti ad un posto di lavoro vengano scartati o viceversa, vittime incolpevoli di un sinistro vengano ritenute responsabili o viceversa, progetti di ricerca innovativi non vengano finanziati o viceversa, eccetera eccetera.

Decisioni “rumorose”

In tutti questi casi non siamo davanti solo ad errori decisionali, ma ad una vera e propria ingiustizia sistemica. Provate a pensare al caso di un insegnante il cui giudizio sul rendimento degli studenti è affetto da “noise”: egli assegna, cioè, ai suoi studenti, per esempio, la metà delle volte un voto generoso e l’altra metà delle volte un voto troppo striminzito. Non diremmo, in questo caso, che il criterio di valutazione attribuisce in media un voto corretto; diremmo piuttosto che l’insegnante è stato ingiusto il 100% delle volte. La metà per difetto, l’altra metà per eccesso. In questo caso gli errori si sommano non si eliminano a vicenda.

Le decisioni “rumorose” rappresentano fenomeni particolari le cui dinamiche hanno attirato l’attenzione degli studiosi solo di recente. . 

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