Se, come disse il giocatore della nazionale inglese Gary Lineker nel 1990, il calcio è un gioco semplice in cui «22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince», la corsa è uno sport ancora più semplice, in cui si parte tutti insieme dopo un colpo di pistola e alla fine vince un corridore nero.
Negli ultimi venticinque anni, infatti, gli atleti di colore hanno conquistato praticamente ogni angolo di questo sport. E se escludiamo le gare di velocità come i 100 metri e i 200 metri, che sono dominate dagli afroamericani statunitensi e dai giamaicani, in quasi tutte le corse di distanza e resistenza — 1500 metri, 3000 metri, 5000 metri, 10000 metri, mezza maratona e maratona — non c’è partita: a vincere è quasi sempre un africano. I più grandi campioni delle corse di resistenza vengono tutti da uno stato molto preciso dell’Africa: il Kenya Ma non si può parlare genericamente di Africa quando si parla di corsa di resistenza. Un po’ perché non si può ridurre un continente grande come l’Africa ad un’unica entità indistinta e un po’ perché parlare di Africa è veramente troppo generico: la stragrande maggioranza dei più grandi campioni delle corse di resistenza emersi negli ultimi anni vengono da uno stato molto preciso dell’Africa: il Kenya. Se guardiamo agli ultimi 10 record del mondo nella mezza maratona, solo uno è stato segnato da un europeo. Gli altri nove sono di atleti africani, sei dei quali sono keniani. Anche nella maratona il discorso è simile: secondo l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera, nove dei dieci più forti maratoneti della storia vengono dal Kenya e quattro degli ultimi 10 record del mondo sono di atleti keniani. Negli ultimi anni, questi corridori hanno ridotto il record fino a 2 ore, 2 minuti e 57 secondi, un risultato praticamente inavvicinabile per gli atleti europei e statunitensi e sempre più vicino al sogno di correre 42 chilometri in meno di due ore. E allora la domanda è ovvia: perché i keniani sono così forti nelle gare di resistenza? Com’è possibile che da una popolazione che corrisponde a meno dello 0.5% della popolazione mondiale arrivino così tanti campioni? Una risposta unica e certa, possiamo dirlo subito, non c’è. Ma ci sono un insieme di ipotesi, radicate nella genetica, nella società e nella cultura di questo popolo, che provano a spiegare perché i keniani corrono così forte.
Perché vanno a scuola di corsa?
La storia che abbiamo sentito tutto almeno una volta è quella dei keniani che diventano grandi corridori perché, da bambini, corrono per chilometri per andare a scuola ogni giorno, facendo un costante allenamento involontario che li prepara a diventare campioni. E anche se per qualche caso può essere vero (Charles Cheruiyot, doppio campione olimpico keniano, raccontava che da bambino correva per oltre dieci chilometri al giorno per andare a scuola), sembra che quello dei bambini che corrono a scuola sia un mito occidentale, che immagina sempre l’Africa come povera e disperata. Molti campioni keniani moderni dicono di essere andati a scuola in bicicletta, a piedi o in autobus, come moltissimi altri bambini di tutto il mondo.
Perché è un modo per emanciparsi dalla povertà?
Molti ragazzi iniziano a correre sperando di guadagnare abbastanza da poter comprare della terra per la propria famiglia
Più vero, invece, è che molti giovani si dedichino alla corsa perché correre, in Kenya, un modo per emanciparsi dalla povertà. Dopo il successo dei primi corridori keniani, nel Paese sono arrivati allenatori e borse di studio occidentali, che permettono agli atleti più promettenti di allenarsi a tempo pieno, di studiare all’estero, trovare uno sponsor e poter gareggiare in gare importanti con premi in denaro. Il Kenya è ancora un Paese molto povero — il reddito annuo pro capite è di soltanto 1600 euro — e il motivo che spinge molti ragazzi e ragazze a iniziare a correre è quello di guadagnare abbastanza da poter comprare della terra e una casa per la propria famiglia. Ma i keniani sono anche incredibilmente fieri dei loro corridori, che sono quasi eroi nazionali e che spesso non solo vincono medaglie d’oro in tutto il mondo ma tornano anche indietro, cercando a loro volta nuovi campioni e allenandosi insieme a loro. È una situazione molto simile a quella dell’Italia con il calcio. Perché abbiamo (o, se non altro, abbiamo avuto) così tanti calciatori forti? Perché il calcio è lo sport nazionale, e moltissimi bambini e ragazzi sono spinti a impegnarcisi perché sognando, un giorno, di poterne fare un lavoro e di diventare famosi e ricchi come i loro idoli. Il problema di questa spiegazione? Che dice solamente perché ci sono così tanti corridori keniani e non perché i keniani sono così forti a correre. Per dare una risposta a questa domanda bisogna scendere un po’ più a fondo e scoprire un’altra cosa importante su questi atleti. Gran parte dei più forti corridori al mondo sono di una tribù specifica: i Kalenjin Abbiamo detto che tantissimi dei più forti corridori al mondo di corsa di resistenza sono keniani. Ma la verità è ancora più specifica: la gran parte dei più forti corridori al mondo sono Kalenjin. I Kalenjin sono una tribù del Kenya che vive nella zona centrale della Rift Valley, l’area dell’Africa orientale dove sarebbero comparsi i primi ominidi della storia. I Kalenjin sono cinque milioni di persone, tutti insieme non fanno nemmeno un nono della popolazione totale del Kenya, eppure tre quarti dei corridori del Kenya arrivano da questa tribù. David Epstein, giornalista statunitense che ha scritto un libro intitolato The sport gene (Il gene dello sport), mette i numeri e la superiorità dei corridori di questa tribù in prospettiva: «ci sono 17 atleti statunitensi nella storia che hanno corso la maratona in meno di 2 ore e 10. Ci sono 32 Kalenjin che l’hanno corsa in meno di 2 ore e 10 solamente nell’ottobre 2011».
Perché sono fisicamente avvantaggiati?
Il vantaggio di questa popolazione? Sembra stare tutto nel fisico. I Kalenjin fanno parte del gruppo dei popoli nilotici e negli ultimi anni sono stati studiati da molti team di ricerca per capire esattamente cosa li renda così forti nella corsa.
Prima di tutto, c’è un fattore geografico. I Kalenjin vivono in una zona della Rift Valley che è a oltre duemila metri di altezza sul livello del mare. Allenarsi così in alto permette di rafforzare la circolazione, ampliare la capacità polmonare e di sviluppare un numero molto alto di globuli rossi. E poter portare più ossigeno ai muscoli, durante una corsa e specialmente in quelle a lunga distanza, è un vantaggio non indifferente.
E poi c’è una questione di struttura fisica. Una ricerca dell’Università di Copenhagen, raccontata nel libro di Epstein The Sport Gene, ha messo a confronto la struttura fisica dei ragazzi olandesi e con quella dei ragazzi Kalenjin, scoprendo che i keniani hanno gambe in media un po’ più lunghe e un po’ più… affusolate. I polpacci e le caviglie dei Kalenjin sono tra il 15 e il 17% più sottili di quelle degli olandesi. Che cosa vuol dire? Moltissimo. Durante la corsa, le gambe si comportano sostanzialmente come dei pendoli e più pesante è il peso in fondo al pendolo, più energia serve per spostarlo. Più energia serve per spostarlo, più fatica fa il corpo. Moltiplicate per la lunghezza di una maratona e scoprirete che il risparmio di energia è notevole.
La formula matematica, così, sembra semplice: grande capacità polmonare + grande capacità di portare ossigeno + gambe affusolate che fanno consumare meno energia = grandi corridori. Dopo un certo punto la gara smette di essere una sfida prettamente fisica e diventa una sfida soprattutto mentaleMa c’è un’altra cosa da dire. È vero che questi fattori sono fondamentali nella corsa sulla lunga distanza e che i vantaggi fisici dei Kalenjin possono fare la differenza tra chi è in grado di correre una maratona in meno di due ore e dieci e chi è in grado di correrla in meno di due e quindici. Ma come ogni maratoneta vi dirà, dopo un certo punto la gara smette di essere una sfida prettamente fisica e diventa una sfida soprattutto mentale. Contro il dolore, contro il fiato che manca, contro un corpo che non si è evoluto per correre quarantadue chilometri tutti di fila. Ecco, c’è qualcuno che pensa che anche qui i Kalenjin abbiano un vantaggio su tutti gli altri.
Perché il dolore fa parte della loro cultura?
Gregory Warner, è il corrispondente di NPR, la radio pubblica statunitense, per l’Africa dell’Est fa notare che nessuna delle caratteristiche osservate dai ricercatori è tipica unicamente della tribù dei Kelenjin in Africa. Ma qualcosa di unico nei Kalenjin c’è: la loro cultura. I ragazzi e le ragazze della tribù Kalenjin, per diventare membri adulti della società devono superare un rito di iniziazione. Questi riti sono molto comuni nelle società tribali, tipicamente mescolano prove fisiche e rituali religiosi, e quelli dei Kalenjin sono molto cruenti e dolorosi.I Kalenjin passano attraverso un rito di iniziazione che insegna ai ragazzi a controllare la pressione e a resistere al dolore. Il rito prevede che i giovani debbano strisciare praticamente nudi in un tunnel di ortiche africane, particolarmente urticanti, poi vengono colpiti con dei bastoni sulle ossa sporgenti delle anche, poi le nocche delle mani vengono schiacciate tra di loro e infine l’acido formico delle ortiche viene spalmato sui genitali di ragazzi e ragazze. Dopo tutto questo, i volti vengono coperti di fango che viene fatto essiccare. Per i maschi, poi, c’è un processo di circoncisione fatto con un bastone appuntito e per le femmine la mutilazione dei genitali. Se il fango essiccato si crepa durante questo rito, per una smorfia di dolore o anche solo un movimento di una guancia o della fronte, il ragazzo o la ragazza diventano kebitet, codardi. E storicamente chi non superava il rituale veniva anche emarginato dalla società, senza amici e con meno possibilità di fare figli. I ragazzi sanno che più o meno all’età di 15 anni dovranno fare i conti con questo rito di iniziazione e si allenano a sopportare il dolore e a controllarlo. Tutto questo, spiega un allenatore intervistato da Warner, «insegna ai ragazzi a controllare la pressione e a resistere al dolore». «E benché non sia di certo stato scoperto un gene dello stoicismo e il successo degli atleti possa dipendere da numerosi fattori — come il tipo di fisico, la dieta e lo status socioeconomico — sappiamo che gli attuali campioni keniani sono tutti cresciuti in una società che ha reso il dolore parte della propria cultura».
Come previsto, una spiegazione unica e semplice al perché i keniani siano così forti nella corsa non c’è. Di sicuro, anche grazie ai campioni degli ultimi anni, la cultura dei Kalenjin sta cambiando e i riti di iniziazione stanno diventando meno frequenti e cruenti. E forse tra qualche anno vedremo un’altra nazione — come la già fortissima Etiopia o l’Eritrea — superare a pochi passi dal traguardo il Kenia, e salire sul tetto del mondo con i suoi instancabili atleti.