SPORT CONTRO LA FATICA
L’ESERCIZIO FISICO PRATICATO CON CONTINUITÀ VINCE LA STANCHEZZA E MIGLIORA IL BENESSERE
Viviamo nell’era delle automobili, degli elettrodomestici, della tecnologia più avanzata utilizzata per alleviare ogni tipo di fatica, tuttavia sono in aumento le persone che accusano un’eccessiva stanchezza, un affaticamento non proporzionale al lavoro eseguito.
Quasi sono le cause? La stanchezza dell’uomo moderno è più spesso il frutto di poco esercizio fisico che di affaticamento eccessivo. Questo spiega il motivo per cui i fisiologi sono concordi nel raccomandare un potenziamento dell’attività fisica per ottenere un maggior benessere.
L’esercizio fisico regolare, praticato con continuità (che sia jogging, nuoto, ciclismo o semplici passeggiate) provoca un miglioramento del sistema energetico del muscolo e un miglioramento delle condizioni generali dell’organismo. Due condizioni che consentono di lavorare in relax e di vincere la tensione quotidiana (grazie alla produzione di endorfine).
Insieme all’eccessiva sedentarietà, la stanchezza è sovente il frutto di uno stress. Le forme più subdole di astenia (dal greco stenos, che significa mancanza di forza), derivano dai conflitti e dai problemi emotivi (soprattutto depressione e ansietà) presenti in ognuno di noi: dall’incapacità di adattamento verso situazioni ambientali che ci opprimono: lavoro insoddisfacente, preoccupazioni familiari, conflitti tra sentimento e dovere, matrimonio infelice.
I SINTOMI – Trattenuti a forza dentro di noi, questi sentimenti trovano spesso una via d’uscita sotto forma di sintomi fisici. E la fatica è una delle manifestazioni più comuni. Scoprire la natura dei conflitti emotivi latenti rappresenta un passo avanti per curare la stanchezza psicologica e sovente questo provvedimento è sufficiente per ridurla in maniera considerevole. A volte può rivelarsi utile l’aiuto di uno psicologo, ma si può far molto anche da soli, adottando per esempio uno stile di vita più conforme alle esigenze dell’organismo.
LA DIETA – Gli alimenti costituiscono il materiale indispensabile per il lavoro muscolare, però abbuffarsi di cibo, pensando così di vincere la stanchezza, è un errore. A determinare la sensazione di stanchezza, infatti, partecipano anche gli organi digestivi e non è una scelta logica sovraccaricarli di lavoro nei momenti sbagliati.
Avrete notato che dopo un pasto abbondante in genere insorge uno stato di torpore provocato dall’eccessiva distensione gastrica. Questa è infatti una situazione che diminuisce l’afflusso di ossigeno a livello del sistema nervoso centrale. Inoltre le bevande alcoliche provocano un rallentamento dei riflessi e riducono l’attenzione (provocando sonnolenza).
Quindi un primo provvedimento da prendere per chi soffre di una facile stanchezza è una suddivisione razionale dei pasti lungo la giornata, evitando il digiuno dalla sera sino al mezzogiorno successivo (la tazzina di caffè o il cappuccino non sono sufficienti).
La conseguenza di una colazione scarsa è quasi sempre un senso di stanchezza che sopraggiunge a metà mattina, provocato da un calo del tasso di glucosio presente nel sangue.
Al pranzo di mezzogiorno non scegliere piatti ricchi di sughi o panini imbottiti, oppure ancora cibi a elevato contenuto lipidico (stiamo parlando di frittate, salumi, oppure dolci con panna).
Nel limite del possibile date la preferenza ai grassi crudi (olio extravergine di oliva) sia per cuocere le carni magre (cotte in modo semplice) sia per condire la pasta e il riso. Molto importante inoltre è la presenza nel menù di frutta fresca e ortaggi crudi, che assicurano l’apporto di vitamine naturali.
Per diminuire la stanchezza conviene anche eliminare il fumo, che provoca una minor utilizzazione della vitamina C e quindi un aumento dell’affaticabilità muscolare. Il fumo inoltre favorisce la comparsa di episodi ipoglicemici a digiuno e aumenta la resistenza dell’ingresso di ossigeno nei polmoni. Infine è molto importante cercare di mantenere il peso forma, per ridare energia a tutto l’organismo.
Se il tessuto adiposo nell’uomo è più del 12-14 per cento e nelle donne è più del 18-20 per cento del peso globale, rimane automaticamente ridotta la percentuale di tessuto muscolare che rappresenta un fattore limitante ai movimenti.
Infine è importante conoscere i propri cicli energetici. Ci sono persone che si sentono più a loro agio nelle prime ore del mattino, altre invece che preferiscono le ore del pomeriggio. In generale, è bene far coincidere i lavori più impegnativi con le ore della giornata in cui è possibile dare il meglio di noi stessi.
IL RECUPERO – La fatica muscolare coinvolge numerosi meccanismi metabolici che provocano una serie di sintomi. Questo succede anche e soprattutto a chi pratica sport senza regolarità e si dedica a uno sforzo al di sopra delle proprie possibilità. Inizialmente si ha sete (la prestazione fisica diminuisce quando si è perso circa il 2% del peso corporeo, vale a dire un litro e mezzo di sudore per un peso corporeo di 75 Kg) e aumento della temperatura (quando supera i 39° siamo in zona pericolo). Proseguendo nello sforzo si ha tachicardia, aumento della frequenza respiratoria, arrossamento del viso, accumulo di acido lattico, mentre i depositi di glicogeno tendono ad esaurirsi con conseguente comparsa della stanchezza muscolare. Questa situazione si supera sospendendo l’esercizio e idratando l’organismo con bevande a bassa concentrazione di sali e zuccheri (bevande isotoniche). Se la fatica è eccessiva (anche per mancanza di allenamento), oltre ad una accentuazione dei suddetti sintomi, si ha congestione del viso, marcata tachicardia e difficoltà respiratoria, cianosi delle labbra, comparsa di crampi. Ovviamente il recupero da questo stadio di fatica è più lungo e caratterizzato da dolori muscolari, irrequietezza, insonnia, inappetenza. Possono verificarsi danni da radicali liberi, quindi sarebbe utile utilizzare vitamine e antiossidanti, un maggior controllo nella dieta e nell’allenamento e un recupero in tempi più lunghi, per consentire la rigenerazione dei sistemi energetici.
I NEMICI DELLA FORMA: DAL DIABETE ALLO STRESS
Ecco alcune situazioni che provocano una riduzione delle prestazioni fisiche.
Astenia stagionale: difficoltà dell’organismo ad adattarsi ai cambiamenti della temperatura esterna, umidità, pressione atmosferica, ventilazione, sudorazione.
Stress: aumentata secrezione di adrenalina, cortisolo, ormoni tiroidei che inducono perdita di magnesio e disturbi alla conduzione di impulsi nervosi.
Insonnia: mancato rilassamento muscolare che impedisce il recupero della forma e del benessere.
Alimentazione sbagliata: diete dimagranti eccessivamente drastiche e protratte con mancanza di elementi che consentono una corretta produzione di energia.
Influenza: la febbre aumenta tutte le attività dell’organismo, indispensabili per produrre gli anticorpi necessari a debellare i virus, per cui il soggetto si sente privo di forze, anche i farmaci concorrono a diminuire il tono muscolare.
Anemia: la carenza di ferro provoca una scarsa ossigenazione periferica e conseguente comparsa di astenia.
Bronchiti: ostacolata diffusione di ossigeno e anidride carbonica indispensabili per una corretta respirazione.
Diabete: si verifica una ridotta disponibilità di glucosio alle cellule per aumentata resistenza all’insulina.
Insufficienza renale: riduzione del processo di formazione dei globuli rossi per carenza di eritropoietina.
Scompenso cardiaco: diminuzione della portata cardiaca, con ridotta perfusione dell’apparato muscolare.
L’AFFATICAMENTO CRONICO È UNA MALATTIA
La sindrome da affaticamento cronico è caratterizzata da una combinazione di vari sintomi e disturbi e non è una malattia ben definita come il diabete o il tumore. Di conseguenza è molto difficile fare una diagnosi sicura.
I criteri usati per la sua determinazione sono: un senso di affaticamento generale che dura da almeno sei mesi, febbre leggera, gola infiammata, dolori e debolezza muscolare, emicrania, difficoltà a recuperare dalla fatica dopo uno sforzo, dolore alle articolazioni, problemi di memoria e incapacità di concentrazione, depressione, insonnia, presenza di linfonodi del collo. Buona parte di questi sintomi devono persistere per almeno sei mesi per definire una sindrome da affaticamento cronico. Questi sintomi potrebbero essere anche causati da altre malattie croniche quali artrite reumatoide, immunodeficienza, disturbi cardiaci. Per stabilire se quella di cui soffriamo è davvero la sindrome da affaticamento cronico e non siamo invece in un periodo di scarsa forma, occorre sottoporsi a una serie di esami per escludere altre malattie (conteggio globuli rossi, bianchi, ematocrito, ormoni della tiroide, dosaggio del ferro, potassio, magnesio).
FONTE: Murray, Mitterman – New England Univ., Harward (Boston)