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CRONOBIOLOGIA

Secondo la cronobiologia, la scienza che studia i ritmi biologici dell’uomo, possediamo delle “lancette” interiori, che governano il nostro organismo

Per un buon sonno segui l’orologio dentro la tua testa

«La sera non andrei mai a letto». «Che belle le prime ore del mattino: si può fare moltissimo, rendono il doppio». Bastano queste due frasi a delineare due “cronotipi” : l’allodola e il gufo.

«Lark e owl in inglese. Agli americani piacciono queste denominazioni», sorride Roberto Manfredini, grande esperto di cronobiologia, membro di varie associazioni statunitensi e italiane dedicate a questo settore della medicina e docente di Medicina interna all’Università di Ferrara. Cronos in greco significa tempo. E noi siamo fatti anche di tempo: il tempo della biologia è governato dal nostro orologio interno centrale, che è stato scoperto nei primi anni Novanta ed è andato via via rivelando influenze sempre più estese e sottili. E altri orologi hanno dimostrato di possedere quasi tutti i nostri organi, nonché le cellule. «Nei primi anni del nuovo millennio si sono scoperti i primi geni circadiano-dipendenti, cioè con un loro ciclo circa-diem, dal latino: ritmati sulle 24 ore del giorno. E negli ultimi 4-5 anni si è verificato che cuore, rene, polmoni hanno ciascuno un proprio orologio. Sincronizzato, si intende, con l’orologio centrale».

Si sa solo che c’è o si è trovato anche dove è incastonata questa supersveglia?
«È situata nel nostro cervello, nell’ipotalamo, in una zona detta nucleo soprachiasmatico. Ma anche le alghe unicellulari dispongono di un orologio circadiano per regolare la loro attività. La veglia e il sonno costituiscono i due imperativi principali dettati dalle nostre lancette cerebrali e sono governati dall’alternanza luce-buio. A questo ritmo vivevano gli uomini primitivi, a questo ritmo vivono gli animali: con lo stadio di veglia invertito se sono “programmati” per la vita notturna. Nel nostro occhio c’è una parte non visiva, un fascio nervoso ancestrale collegato direttamente con l’ipotalamo, un’autostrada retina-ipotalamo che dà il segnale del cambiamento della luce e dice quando è ora di dormire o di svegliarsi». 

Ma oggi noi non andiamo a letto all’arrivo del buio, dall’Ottocento la luce elettrica ha cambiato le nostre abitudini. Conta questa luce per il masterclock?
«Nient’affatto. E questo orologio resta nel nostro organismo in quanto costituisce un vantaggio evolutivo. Nel senso che sapere prima che cosa può succedere – arriva la notte, arriva il giorno o anche si avvicina l’ora dei pasti – e organizzarsi di conseguenza (internamente e fuori) è un aiuto. Migliora l’efficienza».

Ma noi andiamo a letto tardi, a tenebre inoltrate.
«È una desincronizzazione, non un bene: per una parte di quanti hanno problemi di sonno l’origine è lì. L’uomo resta fondamentalmente diurno, ma abbiamo grandi capacità di adattamento. Per esempio il  jet-lag, lo star male provocato appunto dallo sfasamento del nostro orologio interno con quello esterno quando in aereo superiamo almeno 4-5 fusi orari: ebbene, un terzo di persone non ne risente affatto mentre un terzo ne soffre molto. E l’altro terzo ha un po’ di disagio».

Vero che il jet lag cambia se si va a ovest, per esempio dall’Italia a New York, oppure a est?
«Si dice “East is least, West is best”,  l’est è il peggio, l’ovest il meglio. Per rimettersi in sesto con i ritmi sonno-veglia, mal di testa, nausee, bastano 3-4 giorni arrivando a New York, mentre di ritorno in Italia, o se si va in India o Giappone, ne occorrono otto».

Torniamo all’inizio: com’è il tipo “allodola”?
«Rappresentano il 15 per cento delle persone. Verso sera hanno sonnolenza, quindi vanno a letto e si alzano presto. Rendono al massimo al mattino. Tendono ad accorciare il ritmo sonno-veglia per cui, per esempio, soffrono meno del lavoro a turni».

 E i ”gufi”?
«Rappresentano un altro 15 per cento: vanno a letto e si svegliano tardi, con sonnolenza dopo il risveglio e hanno maggiore difficoltà di adattamento ai ritmi ambientali e sociali. Di sera si sentono al massimo. La restante parte non ha caratteristiche così marcate rispetto al sonno, tende all’uno o all’altro cronotipo. In tutti l’arrivo del buio stimola la produzione di melatonina, un ormone che induce al sonno, mentre l’alba avverte di fermarla. Ma sono mille altri i meccanismi che vengono stimolati in un senso o in altro».

Dice l’Ecclesiaste che “c’è un tempo per ogni cosa”. L’impressione è che lo dica anche la cronobiologia.
«In effetti sì. Si studia anche la cronopatologia che indica quando è più probabile che una malattia acuta colpisca. Per l’infarto si sa dagli anni Ottanta per ricerche condotte a Harvard che fatali possono essere le prime 2-3 ore dopo il risveglio o le ultime 2-3 prima del risveglio. La spiegazione sta nel contemporaneo superattivismo di tanti fattori interni mentre, per esempio, in quelle stesse ore le coronarie sono più strette ed è al minimo l’azione della sostanza che scioglie i trombi».

Cosa si deve fare al mattino?
«Al mattino bene per le attività mentali, per imparare, perciò la scuola è sincronizzata benissimo».

Ma dopo la scuola, nel pomeriggio, si deve studiare. La mente non è più limpida?
«Va bene anche il pomeriggio, ma non appena mangiato. Diciamo che verso le 14 – anche se si è mangiato solo un’insalata – c’è una flessione verso la sonnolenza. Meglio fare un riposino. Molte ditte americane ormai prevedono questo “riposino”, anche solo di 15-20 minuti, alcune hanno predisposto stanze apposite. Perché sanno che poi scatta una forte ripresa delle facoltà mentali e dell’attivismo».

Per lo sport?
«Massimo di adrenalina nel pomeriggio, per la forza muscolare le ore migliori sono  16-19. Se invece lo sport richiede precisione, destrezza manuale come nel tiro con l’arco o con la pistola, le ore ideali sono quelle del mattino».

E per guidare l’auto?
«Il picco terribile è tra le 2-4 di notte. Il tempo degli incidenti tremendi. Perché – è provato – il tempo di latenza dei nostri riflessi in quelle ore raddoppia. Per frenare, per esempio, ci mettiamo il doppio. Anche se noi non ce ne accorgiamo. Non fidarsi di se stessi o di essere un tipo “gufo” per stare al volante in quelle ore».

Perché a volte che ci si sveglia più stanchi di quando si è andati a letto?
«Ciò accade uando si fanno sogni di paura, di corse forsennate, di pericoli incombenti, in quei momenti il nostro organismo va a mille come se quelle corse e quei pericoli fossero reali. Il sogno lo inganna. Così l’organismo si stanca».

Computer, cellulari e tablet hanno qualche effetto sul sonno?
«Si è visto che la luce blu di questi schermi è più potente della luce bianca naturale e la superano nello stimolare il nostro orologio biologico. Di sera, sposta il cronotipo dei ragazzi, rendendoli più nottambuli. È meglio che dopo cena si lascino perdere gli schermi vicino agli occhi e ci si dedichi ad altre attività. Ma molta luce blu viene anche dalle lampade a led, da parte dell’illuminazione urbana: la produzione di melatonina viene rimandata perché questa luce inganna l’orologio interno facendogli credere che sia ancora giorno. L’inquinamento luminoso è anche questo. Da diverse ricerche emerge che gli adolescenti di città hanno ritmi circadiani spostati verso la notte rispetto a coetanei che vivono in campagna.  Inoltre, per gli sfasamenti luce-buio dovuti alla luce artificiale e al ritmo che ha preso la nostra civiltà i bambini oggi dormono in media un’ora e mezzo in meno dei piccoli di un secolo fa. Il poco sonno non è per nulla igienico, può aprire la porta o facilitare, nel tempo, diverse malattie. Anche le più gravi

serena zoli

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