Da cosa? Esattamente!
Ormai è epidemia.
Giovedì alle 17: “Devo proprio staccare. Mi prendo un weekend lungo per ricaricarmi.”Da cosa?
Dallo stress accumulato tra il pranzo aziendale e i vocali su WhatsApp?Parliamoci chiaro: la maggior parte di chi “deve ricaricarsi” non ha mai scaricato davvero niente.
Non ha un carico mentale, ha una piattezza esistenziale.
Non si sta spegnendo, semplicemente non ha mai acceso nulla.

C’è un nuovo fenomeno, dilagante e silenzioso, che si manifesta puntualmente . È il momento in cui qualcuno, con aria seria e uno sguardo da sopravvissuto, pronuncia la frase: “Devo proprio staccare. Mi serve un weekend lungo per ricaricarmi.” E tu resti lì, a chiederti da cosa esattamente dovrebbe ricaricarsi. Perché, se ci fermiamo un attimo a guardare, la settimana tipo di questi soggetti non è che una sequenza di call in cui si dice “ne parliamo più tardi”, mail in cui si ringrazia a caso, pause caffè con biscotti integrali e scroll compulsivi in cerca di motivazione tra un carosello su Instagram e un video di yoga per pigri. Stanchi da cosa? Da chi? Da quando?
La verità è che ci siamo abituati a vivere in uno stato di logorio senza fatica. Un’affaticamento senza attrito. Una stanchezza che non deriva da sforzo reale, ma da una continua esposizione a stimoli vuoti, a interazioni superficiali, a progetti senza peso. E allora si genera quella sensazione di esaurimento che, in realtà, è solo noia strutturata bene. Il cervello, se non viene impegnato con intensità e direzione, non si stanca: si spegne. E quando si spegne, non chiede riposo. Chiede senso.
Ma invece del senso, oggi va di moda la spa. Il detox digitale. Il silenzio selettivo. Il brunch senza carboidrati e il silenzio interiore garantito da una coperta pesante e una candela al legno di cedro. Ci diciamo che ci stiamo ricaricando, ma in realtà ci stiamo evitando. Evitiamo la domanda vera: cosa stiamo costruendo? Per cosa ci stiamo affaticando davvero? Perché la ricarica ha un senso solo se hai prima consumato qualcosa. E per molti, la batteria non è scarica: è semplicemente inutilizzata.
È qui che la psicologia osserva e sorride, un po’ rassegnata. Perché la fisiologia dello stress, quella vera, richiede un carico emotivo, una responsabilità, una scelta difficile, un conflitto da reggere. Solo allora il sistema attiva le sue risorse, si affatica davvero, e solo dopo può recuperare. Senza stress, non c’è bisogno di recupero. C’è solo una lunga evasione a puntate. Chiamarla self-care è come dire che dormire in palestra fa dimagrire.
Il weekend lungo non è una soluzione. È una cornice. E se dentro quella cornice non ci metti nulla, nemmeno quattro giorni bastano a restituirti l’energia che non hai speso. Perché il problema non è la batteria. Il problema è che non c’è nessuna app aperta. E allora sì, stacca pure. Prenditi il venerdì. Allunga il lunedì. Ma la vera ricarica comincia quando torni. E se non hai niente a cui tornare, forse è lì che bisogna intervenire. Non sul calendario, ma sul senso.
Psicologia del finto affaticato
Il cervello umano, si sa, è progettato per l’equilibrio tra sforzo e recupero.
Ma attenzione: senza sforzo, il recupero è solo evitamento.
Quelli che dicono “devo ricaricarmi” spesso rientrano in tre categorie psicologiche ben note:
Il cronico dell’auto-narrazione fuffa
Ha letto due post su Instagram, conosce le parole “burnout”, “boundaries”, “self-care” e ora ogni mercoledì è esausto… di non fare.
Non vive, si giustifica.
Il collezionista di micro-stimoli
Ha bisogno continuo di aperitivi, spa, brunch, lucine calde, serie TV e mindfulness da balcone.
Perché la sua corteccia prefrontale è in ibernazione dal 2009.
E lo chiama “ricaricarsi”.
No, è narcotizzarsi lentamente.
Il fuggitivo cognitivo
Appena c’è da affrontare qualcosa che implica responsabilità, profondità, scelte…
puff! Weekend lungo.
Scappa nel tempo libero per non vedere il vuoto pieno che ha dentro.
Vuoi ricaricarti davvero?
Ecco un programma di recupero per umani non disfunzionali:
- Esporsi a una scelta difficile.
- Fallire qualcosa di importante.
- Prendersi un rischio che fa tremare le gambe.
- Dire una verità scomoda.
- Fare qualcosa che richiede attenzione vera per più di 10 minuti.
E poi recuperare. Ma dopo.
Quando lo sforzo ha lasciato tracce reali.
Non il fiatone finto da pausa cappuccino.
Conclusione (amara, ma necessaria)
Il weekend lungo non è una cura. È una fuga travestita da benessere. Una roba da IG
Un ponte verso il nulla, da cui si torna uguali a prima: poco coinvolti, poco stanchi, ma sempre pronti a dire “ho bisogno di ricaricarmi”.
Il problema non è la batteria scarica.
È che non sai cosa alimentare.