Martina Petrini
La filosofia dello sport è una disciplina filosofica che indaga il complesso e variegato universo sportivo, cercando di analizzare le implicazioni metafisiche, etico-morali, antropologico-filosofiche, pedagogico-educative e socio-politiche dello sport, inteso come attività umana.
In questo contributo ricostruiremo la genesi storica e l’evoluzione della filosofia dello sport, partendo dall’analisi delle comuni radici greche dello sport e della filosofia, per mostrare la presenza di un legame originario tra queste due discipline; successivamente, ci occuperemo del Movimento Olimpico e della riflessione intellettuale da esso stimolata, con l’obiettivo di evidenziare i punti di contatto tra la filosofia dello sport e i presupposti teorico-concettuali elaborati dall’Olimpismo. Infine, passeremo alla descrizione della nascita e dell’evoluzione storica della filosofia dello sport, focalizzandoci sulle caratteristiche fondamentali delle sue varie fasi di sviluppo e soprattutto sull’analisi delle aree di studio della disciplina, tentando di far emergere le questioni più rilevanti da un punto di vista filosofico.
1. Le comuni radici greche di sport e filosofia
Anche se la filosofia dello sport è un settore di studio giovane e ancora in fase di evoluzione, il legame tra sport e filosofia è molto antico e profondo ed è sancito dal comune luogo di origine. L’antica Grecia, infatti, oltre ad essere stata il teatro del passaggio decisivo dal mythos al logos, è stata protagonista anche dell’istituzionalizzazione dello sport agonistico, ospitando i Giochi Olimpici antichi fin dal 776 a. C.. Il rapporto tra sport e filosofia non si riduce, però, semplicisticamente alla condivisione del contesto storico di origine, ma affonda le radici nei principi cardine della civiltà greca: l’uguaglianza e la libertà. Proprio per questo condividiamo le parole di Isidori1, il quale afferma che «la filosofia è nata con lo sport; vale a dire con quella cultura “agonale” del dialogo e del confronto equo tra pari che ispirava le antiche competizioni greche».
Proprio tra gli antichi filosofi greci possiamo trovare le prime considerazioni di carattere filosofico intorno all’attività fisica, lodata principalmente per il suo grande potenziale educativo e per la sua capacità di favorire uno sviluppo armonico della persona, come conferma questo passo della Repubblica di Platone: «Dopo la musica i giovani vanno formati con la ginnastica […] Bisogna dunque che anche con questa siano accuratamente allevati per tutta la vita, cominciando fin da bambini».
Se da un lato la pratica motorio-sportiva viene riconosciuta come un elemento fondamentale per il processo formativo, dall’altra, già nell’antica Grecia, emerge il carattere ambivalente e contraddittorio dello sport, soprattutto dal giudizio etico che molti pensatori formulano nei confronti degli atleti, criticati per i loro eccessi e per i costumi corrotti, ma anche per le considerazioni in merito ai rischi e ai benefici dell’attività motoria. A tale proposito, Aristotele, nella Politica, dopo aver ribadito l’importanza della ginnastica nel sistema formativo, mette in guardia gli educatori dalle possibili conseguenze dell’agonismo precoce e da carichi di allenamento sconsiderati, affermando che fino «alla pubertà bisogna far eseguire esercizi leggeri, evitando cibi pesanti o fatiche violente, per non arrecare danno alla crescita. Prova non trascurabile che quelle cose possono arrecare danno sta nel fatto che tra gli olimpionici si potrebbero trovare al massimo due o tre individui che sono stati vincitori da giovani e da uomini maturi, perché allenandosi in gioventù si sono esauriti con esercizi violenti».
Da queste brevi riflessioni sul ruolo dell’attività fisica nell’Antica Grecia e sul rapporto tra riflessione filosofica e sport, non emerge solo l’interesse dei pensatori antichi nei confronti dello sport, ma anche la presenza di un originario ed «antico legame» tra le due discipline, che si è indebolito nei secoli successivi, quasi smarrendosi, e che è stato recuperato, come vedremo, nel XX secolo con la nascita della filosofia dello sport.
2. L’Olimpismo: il preludio di una riflessione critica intorno allo sport
Prima di analizzare la genesi e lo sviluppo della filosofia dello sport e la sua configurazione disciplinare, non possiamo non fare riferimento all’Olimpismo, che può essere considerato un presupposto storico-concettuale della riflessione filosofico-sportiva. Il Movimento Olimpico ebbe origine verso la fine del XIX secolo, grazie all’intuizione di Pierre de Coubertin, con l’obiettivo di riscoprire gli autentici valori dello sport, inteso come strumento di educazione, pacificazione e incontro. L’Olimpismo è fondamentale ai fini della nostro discorso, perché non portò semplicemente alla rinascita dei Giochi Olimpici moderni e dunque all’affermazione della pratica sportiva, ma costituì un’occasione unica ed irripetibile per intraprendere una riflessione critica sullo sport.. Nel tentativo di analizzare il contributo dato dal Movimento Olimpico allo sviluppo della filosofia dello sport, ci chiederemo anzitutto se nell’Olimpismo sia presente una base teorica elaborata attraverso una vera e propria riflessione filosofico-critica e, successivamente, analizzeremo argomentazioni, motivazioni e obiettivi dell’Olimpismo nel tentativo di comprenderne anche le contraddizioni e i limiti.
Il barone Pierre De Coubertin non era un filosofo, bensì un pedagogista ed uno storico francese, che recepì il mito di Olimpia, integrandolo nel suo progetto educativo universalistico. «Riformatore sociale, mosso da aspirazioni pedagogiche, De Coubertin ha affidato le sue speranze allo sport. Esso gli è parso la scuola delle nazioni moderne». Il pensatore francese propose di ristrutturare la società e promuovere l’interazione tra paesi e culture diverse attraverso lo sport, elemento innovativo e contemporaneamente antico, trovando ispirazione nel modello greco. De Coubertin, consapevole della vocazione universale, multiculturale ed educativa dello sport, aveva l’obiettivo di allontanarlo da una concezione particolaristica, locale, strumentale, e renderlo occasione di incontro e confronto tra realtà eterogenee e lontane. Il nucleo concettuale dell’Olimpismo è riassunto nella Carta Olimpica, documento ufficiale pubblicato per la prima volta nel 1908 dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO), che era stato fondato da De Coubertin nel 1894. La Carta Olimpica, oltre a contenere il regolamento per l’organizzazione dei Giochi Olimpici e l’ordinamento del governo del CIO, presenta i principi fondamentali del movimento, che riassumono l’insieme di teorie e riflessioni che prendono il nome di “filosofia dell’Olimpismo”.
Il Movimento Olimpico proponeva di «mettere ovunque lo sport a servizio dello sviluppo armonico dell’uomo, per favorire l’avvento di una società pacifica», dove regnino la pace, la collaborazione, il rispetto reciproco e l’accoglienza delle diversità.
Nella Carta Olimpica è esplicitamente affermato che la «pratica dello sport è un diritto dell’uomo» e, dunque, la partecipazione alle competizioni, spazi privilegiati di incontro e di dialogo, ma anche occasioni di festa e di condivisione, deve essere garantita a tutti.
L’Olimpismo ha unito i valori dello sport a quelli della solidarietà, del dialogo, della pace e dell’integrazione, ponendo lo sport stesso come strumento privilegiato per la formazione fisica, morale e sociale. Le riflessioni elaborate in seno al Movimento Olimpico, in particolare quelle relative al ruolo dello sport nella vita individuale e sociale, al dilettantismo, all’atteggiamento agonistico, ai valori che devono animare le competizioni, rappresentano un presupposto irrinunciabile per un qualsiasi tentativo di ricerca in ambito filosofico-sportivo, anche se la “filosofia dell’Olimpismo” non può essere considerata «una legittima filosofia in senso accademico».
L’Olimpismo, infatti, non presenta una struttura teorica coerente e sistematica e proprio per la sua propensione ad inglobare elementi diversi è stato definito eclettico. Lo sforzo di conciliare molteplici sistemi, alcuni apparentemente contraddittori, può generare critiche, ma, forse, proprio «la flessibilità filosofica dell’Olimpismo può spiegare il duraturo successo dei Giochi Olimpici su scala planetaria»12.
Ma se la Filosofia dell’Olimpismo non può essere definita come una vera e propria filosofia, come possiamo inquadrare il contributo dato da essa all’evoluzione della pratica sportiva e allo studio dello sport? Essa «può essere considerata una vera e propria filosofia dell’educazione», poiché è mossa dalla volontà di formare i giovani attraverso l’attività motorio-sportiva. Queste considerazioni ci permettono di comprendere il retroterra della filosofia dello sport che nasce proprio dall’incontro tra l’Olimpismo e la filosofia dell’educazione, le quali hanno valorizzato il potenziale pedagogico-formativo dello sport, mettendolo a servizio della persona.
Dunque, i Giochi Olimpici moderni hanno favorito e accelerato il processo di diffusione e affermazione dello sport, anche a livello popolare, e proprio il passaggio da attività elitaria a fenomeno di massa è stato l’evento che «ha fornito l’occasione alla critica per una sfida intellettuale».
3. La nascita della filosofia dello sport e le aree di studio
L’evoluzione dello sport e la sua eccezionale diffusione a livello mondiale, avvenuta tra XIX e XX secolo, hanno stimolato l’interesse degli intellettuali nei confronti della pratica sportiva, sia nella sua dimensione ludico-ricreativa e pedagogico-formativa, sia nella sua declinazione agonistica (dilettantistica, amatoriale e professionistica).
Le prime riflessioni intorno allo sport sono arrivate da pensatori appartenenti a diversi settori disciplinari, come quello pedagogico, sociologico e storico, ed in particolare, si sono sviluppate nel contesto della tradizione analitica anglosassone – di matrice nordeuropea e nordamericana – e nell’ambito della riflessione ermeneutico- fenomenologica tedesca.
Lo storico olandese Johan Huizinga è stato uno dei primi pensatori ad affrontare questo argomento nella celeberrima opera Homo Ludens ed in particolare si è interrogato sulla natura della relazione esistente tra gioco e sport nel Terzo capitolo, intitolato Gioco e gara come funzioni creatrici di cultura. Huizinga analizza il rapporto tra sport e gara, tra gioco e agon, chiedendosi in prima istanza se la competizione possa essere considerata un gioco e, dopo aver risposto affermativamente a tale interrogativo, si concentra sulle caratteristiche dell’agon, categoria nella quale rientrano anche i giochi sportivi. Vent’anni dopo, anche il sociologo francese Roger Caillois, nell’opera I giochi e gli uomini, include lo sport nella sua classificazione delle pratiche ludiche, confermando l’esistenza di un rapporto molto stretto tra gioco e sport.
Nel 1967 viene pubblicato dal filosofo Bernard Suits l’articolo What Is a Game?, seguito nel 1988 da The Tricky Triad: Games, Play and Sport, dove l’autore analizza più da vicino i punti di contatto tra gioco e sport, delineando i contorni della pratica sportiva agonistica e non. Sempre nel 1967 Howard Slusher collega la riflessione sul fenomeno sportivo all’Esistenzialismo nel testo Man, Sport and Existence, fornendo alla filosofia dello sport uno strumento determinante per lo sviluppo successivo: gli approcci fenomenologico ed esistenzialista saranno tra i più usati dai pensatori dediti alle ricerche sullo sport. Proprio nel contesto filosofico fenomenologico-esistenzialista, grazie all’opera di Maurice Merleau-Ponty, Gabriel Marcel, Emmanuel Levinas, si assiste alla riscoperta della corporeità e alla rivalutazione di una visione integrale dell’uomo.
In questo clima culturale, si creano i presupposti per l’elaborazione della filosofia dello sport, la cui nascita si fa coincidere con la pubblicazione, nel 1969, dell’opera di Paul Weiss, Sport: A philosophic Inquiry. Weiss, professore di Filosofia all’università di Yale, è stato uno dei primi pensatori contemporanei a sottolineare la necessità di una riflessione filosofica intorno allo sport e a contribuire alla diffusione di questa “nuova” disciplina. Weiss, infatti, è stato anche il primo presidente della International Association for the Philosophy of Sport (IAPS), fondata nel 1972 grazie all’impegno di altri importanti studiosi come W. Fraleigh, R. Osterhoudt, K. Meier, C. Thomas, R. S. Kretchmar, etc.
Le riflessioni di Weiss intorno alle tematiche sportive hanno contribuito a dare «quasi immediata credibilità allo studio filosofico dello sport», ponendo le basi per le maggiori linee di ricerca: la definizione di sport, il rapporto tra mente e corpo, le potenzialità formativo-pedagogiche dell’attività sportiva, la relazione tra dilettantismo e agonismo e il ruolo delle donne nello sport.
Dunque, Weiss ha portato l’attenzione sulla diffidenza degli ambienti accademici nei confronti dello sport e con il suo impegno per la diffusione e l’approfondimento dell’argomento, ha segnato «l’inizio e la nascita della moderna filosofia dello sport».
L’istituzione della IAPS è stata seguita dalla nascita del Journal of the Philosophy of Sport nel 1974, nonché dalla fondazione delle prime due società nazionali di ricerca della materia: la Japanese Society for Philosophy of Sport and Physical Education, nel 1978, e la British Philosophy of Sport Association nel 2002. Grazie alle iniziative e all’impegno della IAPS, la filosofia dello sport è stata inserita nei programmi di studio di diverse facoltà di Scienze Motorie, soprattutto in Università nordamericane e inglesi, e ha avuto una grande diffusione. Nonostante ciò, la filosofia dello Sport non ha raggiunto ancora una vera e propria autonomia e non è riuscita a sganciarsi dall’influenza di altre discipline, in particolare dalla pedagogia, che anzi tende a inglobarla nuovamente nel suo ambito.
Proprio per questo motivo è importante ribadire che lo studio filosofico intorno allo sport è indispensabile per comprendere meglio tale fenomeno nella sua complessità e per cercare di mettere in luce risorse e contraddizioni, vizi e virtù, ma soprattutto per far si che lo sport non perda di vista il suo riferimento irrinunciabile: l’uomo. Infatti, «[…] anche se lo sport spesso non si dimostra all’altezza delle sue potenzialità, non significa che la comprensione di questo potenziale sia una perdita di tempo».
La IAPS è il nucleo centrale di questo processo, protagonista dell’organizzazione di conferenze e meeting in Nord America e in Europa, primi fra tutti l’International Congress on Sport Science and Physical Education e il Congresso Mondiale di Filosofia dello sport.
Alla fine degli anni Ottanta risalgono, invece, le prime opere atte a sistematizzare la disciplina e i vari ambiti di ricerca, soprattutto con l’obiettivo di fornire una guida introduttiva agli studenti. A tale proposito occorre citare il contributo dato dal testo di William J. Morgan e Klaus Meier, Philosophic Inquiry in Sport, pubblicato nel 1988. Da questi studi emergono tre settori principali della filosofia dello sport: metafisico, politico ed etico. L’obiettivo fondamentale delle ricerche metafisiche è stabilire quali sono il senso e il ruolo dello sport nell’esistenza umana, soprattutto in quanto attività ludica e agonistica. Alla riflessione metafisica appartengono anche la questione relativa alle regole, che avranno un risvolto importantissimo in ambito morale e sociale; la complessa questione mente-corpo; il rapporto tra sport e arte.
Negli studi condotti in ambito politico-sportivo si colloca l’analisi di problemi sociali e educativi come la discriminazione, la pace, il dialogo interculturale, il rapporto tra uomo e ambiente. Questo settore di studio è strettamente collegato all’Olimpismo, poiché i Giochi Olimpici, in ambito sportivo, costituiscono il momento di confronto per eccellenza tra le varie Nazioni e culture, chiamate a vivere concretamente i principi della solidarietà, della reciproca comprensione e del fair play.
L’ambito etico è senza dubbio la sfera di studio privilegiata dagli studiosi di filosofia dello sport, che si concentrano su questioni come il doping, l’inganno, la violenza, il rischio dell’abuso di nuove tecnologie (bioetica). In questo campo di ricerca devono essere discussi i confini tra legalità e moralità nello sport; gli effetti e le conseguenze di pratiche illecite/immorali sia sulle persone sia sullo sport stesso; la validità dei fini e degli obiettivi; la delimitazione delle responsabilità delle varie figure coinvolte; la valutazione del rischio di traumi e infortuni. L’etica dello sport si occupa, inoltre, di analizzare le implicazioni economiche dell’attività sportiva, ormai coinvolta nel processo si mercificazione che interessa i vari ambiti della società contemporanea. In tale contesto, l’essenza dello sport è stata snaturata dalla spasmodica ricerca della prestazione e dei record disumani, inquadrata in un ottica del profitto ottenibile con ogni mezzo. Infine, un tema a metà strada tra la dimensione socio-politica e la dimensione etico-morale è sicuramente quello relativo all’educazione, dato il potenziale pedagogico riconosciuto allo sport, difficile da gestire e preservare dalle contaminazioni del professionismo e della ricerca esasperata del risultato.
La linea guida fornita sia dalla IAPS sia dal JPS è quella di porre l’accento «sullo scambio interdisciplinare. Anche se i filosofi dello sport hanno interessi specifici e le loro specializzazioni accademiche, la tendenza all’interno della disciplina è quella di avere familiarità e di accogliere contributi che provengono dai campi più disparati», mostrando, per primi, uno spirito di apertura e una volontà di dialogo. Dal 2000 il JPS è passato da una a due uscite annuali; mentre nel 2007 c’è stata la creazione di una nuova rivista scientifica, Sport, Ethics and Philosophy, diretta da Mike McNamee, che ha registrato un enorme successo, con tre uscite annuali. Il grande risultato di questa nuova rivista conferma positivamente il tentativo di diffondere a livello internazionale la disciplina, anche grazie alla presentazione di diversi articoli con traduzioni in spagnolo, tedesco, francese e giapponese.
Le azioni e gli sforzi delle varie società di ricerca di filosofia dello sport, nazionali ed internazionali, dimostrano la volontà di ampliare il raggio di diffusione della disciplina e il tentativo di coinvolgere studiosi provenienti da nuovi paesi, poiché «la filosofia dello sport non può rimanere una disciplina prevalentemente anglo-americana». In particolare è molto forte l’esigenza di dialogo tra Occidente e Oriente anche in ambito sportivo, per espandere ed arricchire le prospettive di ricerca ad una realtà impegnata con successo e con importanti risultati nello studio filosofico-sportivo.
4. Le fasi dello sviluppo storico della filosofia dello sport
Per comprendere lo stato attuale dello sviluppo della disciplina, proponiamo un breve excursus dalla sua origine alla situazione odierna, con la speranza di trovare la direzione della riflessione filosofico-sportiva. R. Scott Kretchmar, nel saggio Philosophy of Sport, contenuto nel testo The History of exercise and sport science, individua tre periodi o fasi di sviluppo della riflessione critico-filosofica sullo sport.
La prima fase, che va dal 1875 al 1950, è caratterizzata da un approccio eclettico, che vede protagoniste la pedagogia e la filosofia dell’educazione, stimolate dal forte interesse nei confronti di nuovi metodi educativi volti ad un maggiore coinvolgimento dell’attività motorio-sportiva. Le nuove ricerche nell’ambito educativo si muovono in direzione di una crescita psico-fisica, rispondente ad una visione integrale dell’essere umano, dove l’obiettivo fondamentale è la ricerca di metodi di apprendimento e di sviluppo delle capacità psico-motorie attraverso lo sport. Dunque, le questioni filosofiche emergono quasi accidentalmente ed esclusivamente in riferimento all’aspetto formativo; ad esempio la questione mente-corpo come ricerca e gestione dell’equilibrio tra educazione fisico-sportiva e concettuale, oppure l’integrazione dell’attività motoria nei curricula scolastici; e ancora il rapporto tra educazione, regole, libertà in relazione ai valori sociali e morali.
Il secondo periodo, che corrisponde al decennio che va dal 1950 al 1960, è ancora imperniato sul tema pedagogico-educativo, ma la novità è rappresentata dal costante riferimento ai sistemi filosofici quali l’idealismo, il realismo, il naturalismo, con l’obiettivo di analizzare i temi riguardanti l’attività motorio-sportiva all’interno di tali contesti. Nonostante un’apertura alla filosofia, l’attenzione rimane focalizzata sull’uomo inteso come studente. La riflessione del pedagogista italiano Luigi Volpicelli (1900-1983), sia a livello cronologico sia a livello tematico-concettuale, si colloca a metà strada tra la prima e la seconda fase; infatti, l’obiettivo centrale delle sue ricerche era proprio quello di motivare l’importanza dell’educazione fisica nei curricula scolastici. Volpicelli era convinto della necessità di integrare l’attività didattica frontale in classe con l’attività ludico-sportiva, quando possibile all’aria aperta, per rispettare e assecondare il bisogno dei bambini e dei giovani di movimento, creatività motoria e libertà di espressione attraverso il corpo.
Il terzo approccio, che va dal 1965 ad oggi, è chiamato approccio disciplinare, perché teso a delineare i contorni della filosofia dello sport, attraverso la creazione di società scientifiche, istituti di ricerca internazionali, riviste specializzate e incontri tra studiosi. Questo è il periodo più fecondo e con esso coincide l’opera di Weiss, come abbiamo visto poc’anzi, che fornisce l’impulso decisivo ad una riflessione schiettamente filosofica sullo sport. Nonostante la diffusione e il coinvolgimento di diversi studiosi e di importanti università, questa fase non è priva di problemi perché la filosofia dello sport è stata spesso eliminata dai curricula universitari di educazione fisica e nell’ambito della ricerca si tende a prediligere materie quali la biomeccanica o la fisiologia, a scapito della Filosofia dello sport, considerata meno importante.
A queste questioni se ne aggiunge un’altra di estrema rilevanza in vista degli sviluppi futuri: il coinvolgimento dei filosofi nelle società scientifiche di filosofia dello sport è stato di breve durata, mentre massiccia è stata e continua ad essere la presenza di studiosi di educazione fisica e scienze motorie. «Questa partecipazione incostante può essere dovuta in parte alla riluttanza dei filosofi tradizionali di approcciarsi ad una materia considerata troppo mondana o a problemi troppo applicati». Il destino della disciplina si presenta, dunque, incerto, suscitando spontaneamente la domanda su quale sia la modalità più efficace per operare verso la consacrazione definitiva della riflessione filosofico-sportiva. A tale proposito, Kretchman prevede, o meglio auspica, il passaggio ad una nuova fase, da lui chiamata «post-disciplinare», in cui la filosofia dello sport riuscirà progressivamente ad ottenere la propria autonomia e a sganciarsi finalmente da ogni rapporto di dipendenza con le altre discipline. Se è indiscutibile l’importanza della biomeccanica e della fisiologia, per sviluppare nuovi metodi di allenamento e migliorare le prestazioni, è altrettanto indiscutibile l’imprescindibilità della riflessione critica sullo sport, per comprendere meglio la sua natura, valorizzare a pieno il suo potenziale educativo, ottimizzare il coinvolgimento sociale e politico, limitando esiti distruttivi e processi degenerativi. Il paradosso consiste nel fatto che la filosofia dello sport non riesce a decollare e a trovare uno spazio di ricerca autonomo perché le questioni poste da essa sono ritenute, da molti, inutili, superflue e accessorie; ma, nello stesso tempo, queste questioni costituiscono i punti critici dell’universo sportivo, i problemi che rischiano di provocarne il collasso.
5. Conclusione: Sport e filosofia, un rapporto possibile e necessario
Lo sport si presenta sempre più come un’attività di fondamentale importanza nell’esistenza umana, poiché ha acquisito un ruolo di primo piano nella vita individuale e sociale di milioni di persone, di tutte le età, in ogni parte del mondo.
Analizzando le diverse sfaccettature del fenomeno sportivo ci si rende conto della sua complessità e del suo carattere a tratti ambiguo e contraddittorio. Se da un lato esso si pone come strumento di aggregazione e di incontro tra popoli e culture diverse, dimostrando una grande capacità di favorire la pace e il dialogo tra gli uomini, dall’altro sembra essere protagonista di un processo di degenerazione senza fine, che passa attraverso episodi di frode, di inganno, di violenza, di razzismo, di intolleranza, per finire ai sempre più frequenti casi di doping, che rappresentano una delle derive più drammatiche e pericolose dello sport nel contesto odierno. Queste situazioni possono essere comprese come effetti di una visione distorta del concetto di competizione e di un processo di mercificazione delle prestazioni agonistiche degli atleti, che hanno comportato la trasformazione dello sport in un mero «affare economico».
Di fronte alle questioni poste dalla pratica sportiva è evidente la necessità di un ripensamento dello sport, di uno sforzo di comprensione, che parta dalle discipline umanistiche (ed in particolare dalla filosofia), volto alla ricerca del valore umano dello sport. Se nel contesto accademico anglosassone e americano, la filosofia dello sport sembra essere in continuo sviluppo, in altre realtà accademiche l’evoluzione di questa disciplina è molto lenta e faticosa, se non addirittura completamente bloccato. In Italia, per esempio, nonostante la presenza del Professor Emanuele Isidori, che è uno dei più importanti filosofi dello sport a livello mondiale, le ricerche e gli studi in questo ambito non sono molto sviluppati. Come afferma lo stesso Isidori, la ricerca filosofico-sportiva in Italia è stata rallentata in primo luogo dalla presenza di una tradizione idealistica, che ha contribuito a creare un clima di diffidenza verso i temi della corporeità e della pratica sportiva; in seconda istanza dall’assenza di un approccio scientifico allo sport in ambito accademico, dato che la facoltà di Scienze motorie in Italia è stata istituita nel 1998, mentre nel resto d’Europa già esistevano dei curricula universitari specializzati nello sport.
Dato lo stadio di sviluppo della disciplina nel panorama accademico internazionale, possiamo affermare che la filosofia dello sport, pur essendo un settore di studio in ascesa, meriterebbe maggiore attenzione da parte della comunità filosofica internazionale, al fine di acquisire la consapevolezza e la credibilità necessarie per espletare il compito alla quale è chiamata: fornire allo sport gli strumenti per comprendersi e per comprendere il contesto in cui opera.
Con questa breve panoramica sull’evoluzione della filosofia dello sport, abbiamo voluto mostrare che un dialogo tra sport e filosofia non è solo possibile ed auspicabile, ma assolutamente necessario per osservare lo sport da una prospettiva diversa e fornire un’interpretazione razionale di un fenomeno unico e travolgente, ma sempre più a servizio della realtà economica e commerciale. In tale situazione, però, la filosofia dello sport deve da un lato inseguire ed ottenere un’autonomia disciplinare, e dall’altro compiere un lavoro di definizione degli obiettivi e dei metodi di ricerca, cercando di svincolarsi dalle altre materie – quali la psicologia dello sport, la pedagogia dello sport, la sociologia dello sport, etc. –, per trovare un percorso di ricerca indipendente e fornire, così, un contributo originale e essenzialmente filosofico.
Una risposta su “La filosofia dello sport come disciplina accademica”
[…] La filosofia dello sport come disciplina accademica – The Mental Coach — Leggi su thementalcoach.it/la-filosofia-dello-sport-come-disciplina-accademica/ […]