Ann Trason: la donna che ha sfidato i limiti dell’ultramaratona
Nel mondo dell’ultrarunning esistono atleti che vincono gare. Poi ci sono quelli che cambiano il corso dello sport. Ann Trason appartiene alla seconda categoria: una pioniera, un’icona, una donna che ha infranto barriere e riscritto ciò che si pensava possibile nelle distanze estreme.
Nata nel 1960, Trason ha costruito una carriera leggendaria tra gli anni ’80 e 2000, accumulando record, ispirando generazioni e imponendo una nuova visione della corsa di resistenza. Ma il suo lascito va oltre le cifre: è una storia di mente, corpo e natura intrecciati in un percorso di disciplina, intuizione e umiltà.
La sfida ai Tarahumara: Leadville 1994

Uno dei momenti più simbolici della carriera di Ann Trason si consumò nel 1994 alla Leadville Trail 100, un’ultramaratona di 100 miglia che attraversa le Montagne Rocciose del Colorado, oltre i 3.000 metri di altitudine. Quell’anno, la gara divenne teatro di un confronto culturale oltre che sportivo.
Dalla Sierra Madre messicana arrivarono i Tarahumara, una popolazione indigena conosciuta per le straordinarie doti podistiche tramandate da generazioni. Corridori naturali, abituati a percorrere lunghissime distanze con sandali fatti a mano e uno stile sobrio, leggero, quasi silenzioso. Li accompagnava il mito, rafforzato da chi li aveva visti correre per giorni senza mai sembrare stanchi.
Dall’altra parte, Ann Trason: simbolo della corsa moderna, metodica, scientifica. Strategia, pianificazione, abbigliamento tecnico, scarpe all’avanguardia. Due mondi agli antipodi: l’istinto contro l’analisi, la tradizione contro la tecnologia.
Durante la gara, Trason impose da subito un ritmo impressionante. Staccò tutti, compresi i Tarahumara. A lungo fu sola in testa. Ma nel finale, Juan Herrera, uno dei corridori messicani, la raggiunse e la superò. Trason arrivò seconda assoluta, battuta solo da Herrera.
Quella non fu una sconfitta. Fu uno spartiacque. La loro sfida, raccontata nel bestseller Born to Run di Christopher McDougall, è ancora oggi simbolo dell’incontro tra due visioni della corsa, entrambe autentiche, entrambe vere. In quel duello c’era tutto: cultura, filosofia, rispetto reciproco. Non solo una gara, ma una pagina di storia.
La regina della Western States 100
Se Leadville è l’emblema della sfida culturale, la Western States 100 è il tempio dove Ann Trason ha costruito la sua leggenda.

Tra il 1989 e il 2003 vinse 14 edizioni della gara, un record che sembra destinato a restare. Nel 1994 fermò il cronometro a 17 ore e 37 minuti, un tempo che resterà record femminile per 18 anni. La sua superiorità non era solo tecnica, ma mentale, strategica, totale.
Oltre i confini americani
Il talento di Trason non si limitava al trail statunitense. Lo dimostrò alla Comrades Marathon, la più famosa ultramaratona su strada del mondo, lunga 89 km e disputata in Sudafrica. Arrivò seconda assoluta per due anni consecutivi, nel 1996 e 1997, sfidando un campo internazionale di altissimo livello. La sua capacità di adattamento alle diverse superfici e culture della corsa ne confermava lo spessore globale.
Anche in altre classiche ultra come l’American River 50, il Miwok 100K e il Vermont 100, Trason non solo vinceva, ma spesso lo faceva con distacchi enormi, imponendo un ritmo inarrivabile in un contesto ancora fortemente dominato dagli uomini.
Il metodo Trason: allenamento per l’impossibile
Dietro le vittorie, c’era un metodo che anticipava i tempi. Lontano dall’improvvisazione, il suo piano era scientifico, personalizzato, ma anche profondamente intuitivo.
Volumi elevatissimi, fino a 160–200 km a settimana, ma sempre calibrati con attenzione all’intensità. Lunghi consecutivi nei weekend per simulare l’accumulo di fatica e preparare corpo e mente alla seconda metà delle gare. Simulazioni ambientali, con corse in montagna, sotto il caldo, in alta quota, per abituarsi alle condizioni reali. Uno studio maniacale del percorso: altimetrie, ristori, meteo. Ogni dettaglio era analizzato e trasformato in vantaggio.
Era una preparazione non solo fisica, ma logistica e mentale, con una consapevolezza rarissima per l’epoca.
Nutrizione e idratazione: carburante per la resilienza
Anche sul fronte nutrizionale, Trason applicava una strategia rigorosa ma pratica:

Integrava gel, frutta secca, patate bollite, pane e brodo salato, per fornire energia variata e sostenibile. Monitorava attentamente i sali minerali, assumendo capsule e bevande saline per evitare squilibri elettrolitici. Seguiva un piano di idratazione costante, anche senza lo stimolo della sete. Preparava drop bag personalizzate, posizionate in punti strategici del percorso, con alimenti e materiali specifici.
Una gestione attenta, precisa, fondamentale nelle gare oltre le 10–12 ore.
La mente come campo di battaglia
Il cuore della forza di Ann Trason stava nella psicologia. La sua capacità mentale era il vero motore:
Visualizzazione dei momenti critici prima della gara. Scomposizione mentale del tracciato in segmenti gestibili. Uso di mantra motivazionali come “Stay light, stay strong”. Accettazione del dolore, non come ostacolo, ma come linguaggio del corpo da ascoltare. Capacità di adattare la strategia in corsa, evitando rigidità e reattività emotiva.
Nelle sue parole e nei suoi gesti c’era una filosofia di corsa profonda, quasi meditativa, che ancora oggi ispira atleti e appassionati.
Costanza, umiltà, rispetto
Più che la velocità, Trason predicava la costanza. La sua celebre frase:
“You don’t need to go fast, you need to go steady.”
riassume perfettamente il suo approccio. Non correva contro gli altri, ma con gli altri. Ogni gara era una collaborazione tra corpo, mente e ambiente. Una danza di ascolto e adattamento, non una guerra da vincere a forza.
Dopo le gare: mentoring e presenza silenziosa
Dopo il ritiro dalle competizioni d’élite, dovuto a infortuni e logorio fisico, Trason è rimasta legata al mondo delle ultra:
Ha partecipato come volontaria, pacer, mentore per altri atleti. Ha condiviso la sua esperienza con discrezione, senza cercare riflettori. È entrata nella American Ultrarunning Hall of Fame, riconoscimento al suo contributo non solo sportivo, ma umano e culturale.
Un’eredità che continua a correre
Ann Trason ha cambiato l’endurance. Ha abbattuto la barriera di genere, ha dimostrato che le donne possono dominare le ultradistanze, anche nel confronto diretto con gli uomini. Ha ispirato atleti in tutto il mondo, e — attraverso il libro Born to Run — ha contribuito a portare l’ultrarunning fuori dalla nicchia, verso una dimensione globale.
Nel duello con Juan Herrera, nella fatica della Western States, nel silenzio dei suoi allenamenti in salita, Ann Trason ha trasformato la corsa in conoscenza di sé, in resistenza consapevole, in disciplina gentile.
Il suo messaggio è semplice, potente, eterno:
Non serve andare forte. Serve andare costante
Con coraggio, umiltà e rispetto.
“I don’t race against the other runners, I race against the course and myself.”