L’euristica di disponibilità è il processo di giudicare la frequenza in base alla facilità con cui gli esempi ci vengono in mente.

Ammetto che su questa storia del coronavirus, ci sono arrivato tardi. Tanto che ancora venerdì mattina cadevo dalle nuvole quando, andando a Civitavecchia per lavoro, mi hanno detto che una nave da crociera era stata “messa in quarantena”, perché due passeggeri di nazionalità cinese sembravano avere i sintomi del coronavirus.

“Ma dove vivi? Li hai letti i giornali in questi giorni? Le ascolti le notizie? Lo apri Facebook?”. Devo ammettere che no, ero preso da altro. Mi ero perso il momento in cui era scattato l’allarme pandemia.

Cosa stava succedendo? Una forte attivazione emotiva aveva trasformato un evento di rischio in una certezza di epidemia, e morte.

Da lì in poi, ho sentito citare il coronavirus in continuazione. “Siamo sicuri di voler uscire a cena stasera? Con tutto quello che si sente sul coronavirus”. “Vorrei un caffè in contenitore monouso”. “Hanno trovato due turisti cinesi infetti a Roma”.

Poi ho cominciato a notare le mascherine in giro. Siamo proprio in pericolo!

Ma quante probabilità ci sono di morire per coronavirus in Italia? A quanto pare decisamente minori di quelle che ha una donna di morire per mano del proprio compagno o un anziano di morire per una comune influenza. Eppure siamo tutti preoccupati per il coronavirus.

Noi esseri umani non abbiamo un buon rapporto con il “rischio”, facilmente ne sovrastimiamo o sottostimiamo l’entità, soprattutto quando riguarda la salute. Ma perché non valutiamo il rischio reale? Perché non ne siamo capaci. O meglio che cosa accade quando veniamo a conoscenza di un rischio?

Cominciamo a preoccuparci e cerchiamo informazioni per metterci al sicuro. Raccogliamo le prime informazioni disponibili, e ne arrivano sempre di più. Le informazioni aumentano e comprendiamo che la cosa è grave. Aumenta anche la nostra preoccupazione.

È ufficiale, non lo so, ma ho paura. Ho paura per la mia vita, ho paura per la vita dei miei figli.

Che cosa faccio? Come ne esco?

Mi servono altre informazioni.

È partita l’euristica della disponibilità. Quel modo che ha il nostro cervello di giudicare l’importanza di un evento sulla base delle informazioni disponibili. Se gli esempi sono facilmente reperibili, l’evento ci appare più frequente, e nel caso del rischio, ci appare più grave. Se tutti, giornali, telegiornali, GOOGLE, il mio vicino di casa, dicono che è grave, allora è grave!

L’euristica di disponibilità è uno degli errori sistematici che il nostro cervello compie nel processare le informazioni che provengono dall’esterno, è un bias cognitivo.

Ma non è finita. Quando le informazioni sono così tante, che non ho più bisogno di cercarle, tanto che arrivano a cascata, ci troviamo di fronte alle “cascate di disponibilità”. Ora il rischio percepito è altissimo. Siamo morti!

Tutto questo che sembra un’avventura del nostro cervello, in realtà è una catena autoalimentata di eventi, che può iniziare da una notizia mediatica su un fatto relativamente minore e condurre al panico generale e a un’azione del governo in larga scala.

Gli scienziati e altre persone che cercano di dare informazioni più dettagliate e di mitigare la paura crescente attirano pochissima attenzione, sono voci fuori dal coro. “ E’ difficile convincersi con la ragione che il pericolo non è così grande e raggiungere uno stato di assoluta calma”.

Avete mai provato a fermare una cascata?

“In alcune occasioni una storia mediatica riguardante un rischio cattura l’attenzione di un segmento di pubblico che si allarma e preoccupa. La reazione emotiva diventa una storia a sé stante, facendo sì che i media aumentino l’attenzione su quel determinato rischio. La maggiore diffusione di informazioni a sua volta produce sempre maggiore preoccupazione e coinvolgimento”.

Daniel Kahneman (2017), pensieri lenti e veloci, Mondadori.